Macbeth non è solo una delle tragedie più note di William Shakespeare, ma anche una di quelle che meglio sopravvivono al passaggio su schermo: Orson Welles e Roman Polanski hanno diretto i due adattamenti più noti e celebrati, e in epoca recente anche Justin Kurtzel ha saputo rendere giustizia al sanguinoso dramma. Con degli adattamenti così rinomati (di cui uno particolarmente recente), ci voleva la mano di un regista/sceneggiatore unico come Joel Coen per dare uno sguardo innovativo all’opera del Bardo. Il primo film da “solista” di Joel Coen, per la prima volta senza il fratello Ethan: un adattamento shakespeariano con una mano di vernice della A24, casa di produzione e distribuzione che ha fatto dei film dalla raffinatissima ricerca stilistica il proprio marchio di fabbrica. Una combinazione esplosiva ed eccentrica, una scommessa cinematografica che, visto l’eccezionale risultato, si può considerare vinta.
IL BARDO SECONDO JOEL COEN (E SECONDO A24)
Qui siamo dalle parti opposte rispetto all’adattamento omerico libero di Fratello, dove sei?: la storia subisce dei cambiamenti appena percepibili e i dialoghi ripescano quelli di Shakespeare in maniera filologica. L’aderenza di Joel Coen al testo non è tuttavia esclusivamente formale, perché il regista è stato comunque in grado di far suo un testo intriso di riflessioni sul caso, sul Male insito nell’uomo e nella società, sull’insensatezza della vita. D’altronde parliamo sempre del regista di Fargo e di Non è un paese per vecchi: e infatti, anche in questo caso, il maggiore dei fratelli Coen riesce a insinuare nella pellicola i suoi consueti sprazzi di humour nerissimo. Oltre all’intelligenza con cui riflette sul testo shakespeariano, l’adattamento di Joel Coen è notevole anche e soprattutto per la scelta di filtrarne immaginario e ambientazioni con una lente marcatamente teatrale. Le scenografie di Stefan Dechant mescolano ambienti vistosamente artificiali (l’accampamento di Macbeth così come le rovine su un crocicchio sembrano uscite dal precedente ’adattamento di Orson Welles) ad altri ridotti all’osso, essenziali nell’incastro di arredamento spoglio in un’architettura geometrica assolutamente non realistica, che suggerisce l’ambiente e non si preoccupa minimamente della verosimiglianza storica. L’idea non è quella di ricostruire un basso medioevo realistico, ma di restare il più possibile fedele allo spirito della tragedia Shakespeariana e a darle un abito nuovo e al tempo stesso antico.
La colonna sonora di Carter Burwell è a sua volta ridotta all’osso come tutto il resto: proprio come in Non è un paese per vecchi è quasi assente, ed è costituita da rade pennellate che sottolineano i violenti stati d’animo dei personaggi. Ciò su cui invece non si lesina sono le interpretazioni dei protagonisti. Denzel Washington e Frances McDormand (anche produttrice) sono semplicemente mostruosi nel catturare le più sottili emozioni dei personaggi e nel calcare la scena.
TUTTO IL MONDO È UN PALCOSCENICO (IN BIANCO E NERO)
Così, spogliato dalla fitta rete dei rimandi di Shakespeare alla sua situazione storica (gli spettatori suoi contemporanei riconoscevano nella discendenza di Banquo la legittimità del proprio re Giacomo I), la tragedia di Macbeth è qui astorica, immersa nel bianco lattiginoso della nebbia scozzese o persa nella geometria affilata del palazzo di Macbeth, e i personaggi sono isolati, lasciati a sé stessi ad affrontare la propria psiche afflitta dalle conseguenze dei propri gesti. Se in Amleto la tragedia è in divenire, scandita dall indecisione paralizzante del suo protagonista, in Macbeth è tutto già avvenuto, e ai protagonisti, intrappolati nelle incomprensibili reti del destino, non resta che raccogliere i frutti del Male da loro stessi seminati. Una contraddizione esistenziale su cui l’adattamento di Joel Coen costruisce un’intera rete di simbologie, richiami simbolici e analogie cinefile, dal più ovvio Bergman (la strega che indossa il mantello sul campo di battaglia non può non ricordare la Morte de Il Settimo Sigillo) al Dreyer de La Passione di Giovanna d’Arco, tutti ripresi nello splendido bianco e nero di Bruno Delbonnel.
UNA STORIA PIENA DI STREPITO E FURIA
Macbeth di Joel Coen è quindi un adattamento nel senso migliore del termine, nonché uno dei migliori adattamenti cinematografici Shakespeariani a oggi. Un adattamento allo stesso tempo personale e universale, che non snatura il testo pur adattandolo alla sensibilità estetica e cinefila contemporanea.
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