Esistono film belli, capaci di rapirci e farci sognare per tutta la durata del racconto senza farci mai distogliere lo sguardo dallo schermo; esistono film deludenti, dai quali ci aspettavamo qualcosa o le cui le premesse ci portavano a credere in qualcosa che poi la pellicola non presenta; esistono film sorprendenti che fanno invece l’esatto opposto, su cui non avremmo scommesso una lira e che si dimostrano invece capaci di emozionare; esistono anche i film brutti, quelli che a fine visione mettono d’accordo sia l’esperto di cinema che lo spettatore più casual su quanti problemi ed errori il film presenti e su come questi lo affossino terribilmente.

Poi ci sono i film inutili, quelli che a visione conclusa sono già spariti dalla nostra memoria, che falliscono miseramente nell’intento di lasciare qualcosa allo spettatore o che addirittura nemmeno provano a farlo. A volte la causa è l’intento meramente commerciale della pellicola, a volte è la scelta di affidare una storia tutto sommato buona al regista sbagliato, altre volte è la sceneggiatura stessa ad essere in partenza fallace e poco convincente. The Piper, per la regia di Erlingur Thoroddsen ed approdato in sala in questi giorni, rappresenta alla perfezione questo concetto.

Un pifferaio poco magico

La storia si apre su una donna che, dopo aver avvertito per telefono dell’intenzione di non completare la propria partitura per un concerto, cerca di dare fuoco proprio a quest’ultima nel giardino della propria villa. A causa del forte vento la scatola in cui gli spartiti si trovano si chiude improvvisamente impedendo loro di bruciare e la donna, cercando di aprire la scatola, sembra essere colpita da una strana presenza oscura che la scaraventa tra le fiamme facendole prendere fuoco. A pochi giorni di distanza la storia si sposta quindi sulla vera protagonista della vicenda, Mel (Charlotte Hope), una giovane flautista che, per permettersi le strumentazioni mediche per la figlia sorda, è intenta a scalare i ranghi nell’orchestra in cui suona, trovando nella misteriosa partitura della vecchia mentore appena morta l’occasione perfetta.

Traendo ispirazione dalla leggenda de Il pifferaio di Hamelin, il racconto cerca di districarsi attraverso passaggi narrativi abbastanza banali e prevedibili: l’ottenimento della partitura incompleta, l’ascolto di una vecchia registrazione di alcuni passaggi, il tentativo di scrivere il pezzo mancante che porta inevitabilmente la protagonista e tutti coloro che le stanno attorno in un vortice di sonorità macabre ed inquietanti illusioni. Come insegna però una grande fetta di pellicole di tutti i generi e provenienti da tutto il mondo, si può comunque partire da una struttura già reiterata per costruire qualcosa di interessante almeno sul piano visivo ed è un vero peccato che anche su questo fronte il film fallisca, perché le possibilità che offre una maledizione legate alla musica ed al mondo dello spettacolo sono pressoché infinite. Focalizzandoci sul cinema horror, tanto per citare due esempi abbastanza recenti, pellicole come Il cigno nero di Aronofsky o Suspiria di Guadagnino lo dimostrano appieno.

Il pifferaio (Boyan Anev) mentre incanta un gruppo di bambini grazie alla sua melodia.

Un film da piattaforma

La scelta di affidare la totalità delle scene d’orrore a banali jumpscare con ombre che si muovono sullo sfondo, a luci intermittenti e animali che saltano verso i personaggi accompagnati da improvvisi aumenti dei decibel della colonna sonora non aiuta a creare la giusta tensione. Tensione che finisce per smorzarsi completamente con l’entrata in scena sul finale del pifferaio in tutta la sua (poca) gloria, caratterizzato da un design banale che ruba piene mani dal Freddy Krueger nightmariano senza mantenerne un briciolo del carisma. Ad aiutare non sono certo le ambientazioni che si districano quasi totalmente tra l’alternanza del teatro di prova dell’orchestra e l’appartamento di Amy, con l’inserimento in giusto un paio di sequenze della maestosa villa della quale esploriamo però soltanto una stanza piena di oggetti accatastati; manca quindi una qualsiasi ambientazione gotica che possa fare un minimo il verso alle origini della fiaba, optando per luoghi urbani privi di fascino e spesso anonimi.

Sul fronte della regia e della fotografia, complice forse la poca esperienza, Thoroddsen e Katz svolgono rispettivamente un lavoro a malapena discreto, con una messa in scena tipicamente televisiva – o da piattaforma streaming – che rimuove ogni tridimensionalità alle inquadrature e appiattisce l’immagine, caratteristica tipica di quei prodotti televisivi destinati ad un pubblico che poco si cura di tutto ciò che riguarda una minima espressione artistica di ciò che sta guardando.

Plauso va invece a Christopher Young – musicista veterano del genere horror che conta lavori in saghe come Nightmare ed Hellraiser oltre che alla collaborazione con Tobe Hooper, Sam Raimi o Scott Derrickson per diversi loro lavori – che, seppur non creando la sua colonna sonora più iconica, porta a casa il lavoro componendo una melodia capace di inquietare e di rimanere in testa allo spettatore anche a visione conclusa.

Conclusioni

Se l’idea di adattare Il pifferaio magico in chiave maggiormente horror poteva dimostrarsi vincente, a tagliare le gambe all’operazione sono l’insieme di una regia ed una fotografia incapaci di donare il benché minimo colore ad una sceneggiatura banale e prevedibile, riempita a forza di jumpscare poco spaventosi e con un boogeyman per nulla ispirato. The Piper di Erlingur Thoroddsen è il classico film che si trova per caso scorrendo tra i canali televisivi – o nel catalogo di una qualsiasi piattaforma streaming – e che, a visione conclusa, non lascia assolutamente nulla allo spettatore.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.