Spostandosi (o ritornando) dalla televisione al cinema, il regista Mark Mylod firma il suo quarto film in vent’anni e non abbandona i toni comico-satirici che lo caratterizzano sin dall’esordio nel 2002 con Ali G (protagonista Sacha Baron Cohen). Mylod ha abbandonato il grande schermo ormai undici anni fa con (S)ex List – commedia all’insegna della coppia Chris Evans e Anna Faris – e nel mentre ha diretto per il piccolo schermo alcuni episodi de Il Trono di Spade, Shameless e soprattutto di Succession, serie satirica iniziata nel 2018 e diretta e prodotta anche da Adam McKay, nome che ritorna fra i produttori di The Menu.

Con il film uscito nelle sale cinematografiche questo 17 novembre 2022 si mescolano commedia nera e horror, apparecchiandoli nelle tavole imbandite di un ristorante di lusso e avvalendosi dell’attrice di punta del momento: Anya Taylor Joy.

Immagine 1: Lo chef Slowik (Ralph Fiennes) e Margot (Anya Taylor-Joy)

LA TRAMA

Un gruppo di celebrità, famosi imprenditori e noti nomi internazionali approdano in una remota isola privata per assaporare l’alta cucina dell’eccentrico chef Julian Slowik (Ralph Fiennes). Fra coloro che sono in trepidante attesa per scoprire quali ricercati piatti gourmet abbia preparato il cuoco, troviamo il giovane Tyler (Nicholas Hoult) assieme alla fidanzata più dubbiosa Margot (Anya Taylor-Joy), la coppia aristocratica di anziani clienti abituali Anne e Richard (Judith Light e Reed Birney), il critico gastronomico Lillian Bloom (Janet McTeer) con il caporedattore Ted (Paul Adelstein), la star del cinema Liebrandt accompagnata dal suo assistente Felicity (John Leguizamo e Aimee Carrero), e infine anche i tre giovani imprenditori informatici Soren (Arturo Castro), Dave (Mark St. Cyr) e Bryce (Rob Yang). A presiedere l’elegantissimo personale di sala c’è Elsa (Hong Chau), che dopo aver accolto e servito la schiera di alto borghesi comincia a manifestare atteggiamenti burberi e scontrosi, in un climax di tensione palpabile. Le portate della sontuosa cena serbano delle sorprese: gli invitati non sanno che fra gli ingredienti delle pietanze potrebbero comparire proprio i loro nomi…

SIGNORI, IL DELITTO E’ SERVITO

Se il Matt Dillon de La Casa di Jack cercava l’arte nell’omicidio, lo chef di Ralph Fiennes tenta di trovarla in qualcosa di davvero insolito: il cibo. Ma forse non così insolito se pensiamo all’ondata culinaria che sta invadendo i piccoli schermi di tutto il mondo, fra contest di cucina stellata passando per sfide di sopravvivenza in fornelli infernali arrivando sino alla composizione del piatto perfetto e meglio orchestrato. The Menu si imbarca alla ricerca della ricetta cinematografica migliore all’interno della “food culture” televisiva che rifugge il cibo “fast” per educare all’apprezzamento di piatti più prelibati; gli ingredienti per cucinare il film perfetto c’erano tutti: il paradosso comico generato dalla giustapposizione dell’eleganza dell’alta cucina all’efferatezza di una setta di chef psicopatici era una solida base di partenza per imbandire una tavola che potesse offrire dei piatti intrattenenti e divertenti, oltre che virulenti. Nonostante si aggiungano anche i talenti di due attori del calibro di Taylor-Joy e Fiennes, qualche portata di The Menu non è al suo posto e il film non riesce a convincere.

Immagine 2: Il gruppo di benestanti approda sull’isola

Dall’amuse-bouche (ancor prima dell’entrée) fino all’ultimo piatto estremo, tutto attorno ai fastosi tavoli di una delle cucine apparentemente più apprezzate al mondo: il film utilizza addirittura le grafiche in sovrimpressione da show culinario – la principale ossessione del personaggio di Tyler – per richiamare ancor di più il contesto mediale e socio culturale in cui vuole inserirsi. Qualcosa però va storto nella cena di gala di questi ricchi aristocratici che, assuefatti dalla figura di Slowik, passano la serata a parlare di frivolezze e a immolarsi in sperticati panegirici nei confronti delle pietanze servite dallo chef e dal suo entourage. Arriva l’ora del secondo ma le salse non sono accompagnate dal pane perché “è l’alimento dei poveri” (“Gesù prese il pane e rese grazie”) e sarebbe indecoroso servirlo a clienti del loro status sociale, mentre registri di fatture false e foto di tradimenti appaiono nel retro delle tortillas servite come secondo. Pian piano attraverso le portate cominciano a scoprirsi tutti gli altarini dei singoli invitati e il malumore inizia a serpeggiare fra le forchette e i coltelli. A nutrire sospetti sin dall’inizio era soltanto Margot – colei che non era nemmeno “compresa nel menù” avendo sostituito all’ultimo l’ex fidanzata del compagno Tyler -, l’unico ospite incapace di apprezzare (o comprendere, dal loro punto di vista) la qualità della cucina offerta da Slowik, per lei inutilmente sofisticata.

L’ARTE NON E’ PER ARISTOCRATICI

Sta proprio qui il nucleo di The Menu, nella contrapposizione tra la concezione di arte di Margot – ragazza più umile che potrebbe sfamarsi anche con un semplice hamburger – e quella dei nobili commensali, che pur di restare stupiti di fronte alle elaboratissime ricette accettano di credere che le sanguinolente e plateali uccisioni siano parte dello show dello chef: un’ottusità non dissimile da quella della borghesia “ferreriana” de La Grande Abbuffata che si riuniva nell’altrettanto remota villa parigina per ingozzarsi fino alla morte. Se nel capolavoro del grottesco di Ferreri i personaggi di Mastroianni, Tognazzi, Noiret e Piccoli si tramutavano in dei Trimalchioni fuoriusciti direttamente dal Satyricon e agghindavano il suicidio con beceri discorsi intellettualoidi (“Al di fuori del cibo, tutto è epifenomeno!”), The Menu traccia un sentiero concettualmente simile mantenendo i piedi ben saldi nella tradizione satirica ma ricollegando i fantasmi e il substrato del perbenismo alto borghese alla concezione di arte vuota e – anche qui – fintamente intellettuale di quella classe sociale, tanto da far diventare loro stessi gli ingredienti dell’ultima portata.

“Lei vuole morire con chi dà o con chi toglie?”, chiederà Slowik a Margot. Quasi un film di lotta di classe, si potrebbe affermare: per Mylod la vera arte non è per quegli aristocratici che riescono a interpretarla perlopiù solo in termini vacui e narcisisti.

Immagine 3: La veduta all’interno della sala

PIU’ UN (FIACCO) DIVERTISSEMENT, CHE UNA SATIRA

La cucina è da sempre reinterpretata in chiave grottesco-satirica nel cinema, si pensi a un altro cuoco famoso, quello che accompagnava il ladro, sua moglie e l’amante nel titolo del film di Greenaway dell’89, altra opera dove l’ambiente culinario era accostato al frangersi del perbenismo quotidiano (e in particolar modo allo sfogo della natura repressa dell’uomo).

Tuttavia se The Menu ha un pregio è quello di non prendersi mai troppo sul serio, ponendosi più come un divertissement satirico-orrorifico e volendo lasciare il messaggio sociale in secondo piano rispetto al puro intrattenimento. Il problema più grande, ad ogni modo, è costituito proprio dalla scrittura del film, che nelle sue modulazioni narrative lascia interdetto e confuso lo spettatore senza mai spingere l’acceleratore né sul divertimento né sulla satira, e affidandosi a una scrittura tanto prevedibile quanto didascalica e poco intrigante (il finale ne è il sintomo più evidente: oltretutto ci sono diverse linee narrative lasciate aperte e appena accennate). Il climax di tensione non tiene mai sulle spine, le risate – seppur fini e non di lana grossa – arrivano di rado e il discorso precedentemente citato sulla contrapposizione fra le due concezioni di arte è trasposto con semplicità e riduzionismo disarmanti. Non sarebbe un vero problema, se solo ci fosse del buon intrattenimento come contraltare.

La regia di Mylod è al mero servizio della narrazione e non saranno soddisfatti nemmeno coloro che trepidanti aspettavano buone dosi di gore e di bodycount sanguinolenti: il divertissement arriva fiacco e scontato, così come il (tentato) trattato sull’arte che lascia l’opera su di una superfice di totale anonimato cinematografico, loffio e poco divertente. Nemmeno le due punte di diamante del cast, Fiennes e Taylor-Joy, risollevano le sorti di un film spento e che non riesce nemmeno a intrattenere, seppur condito da intenti lodevoli e apprezzabili.

A The Menu manca più di un ingrediente per cucinare la ricetta perfetta, ed è un vero peccato.

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Alberto Faggiotto, Redattore