1977, Festival di Cannes. Ridley Scott vince il premio per la miglior opera prima con I Duellanti, film in costume ambientato nella Francia napoleonica che racconta la rivalità decennale tra due nobili ufficiali della Grande Armée. Con questo esordio folgorante, che lancia la carriera del regista inglese e lo rende immediatamente uno dei nomi più in vista del panorama hollywoodiano, Scott apre un percorso che avrebbe continuato in futuro con pellicole come Le Crociate – Kingdom of Heaven, Il Gladiatore e Robin Hood, e che porta avanti ancora nel 2021 con The Last Duel, che pare davvero chiudere – molto romanticamente – un cerchio iniziato, appunto, con un duello. Nonostante il regista britannico sia noto per la sua versatilità, avendo affrontato molti generi nel corso della sua lunghissima carriera, si può affermare tranquillamente che questo tipo di racconto storico sia tra i filoni di maggior successo dell’intera produzione scottiana e che con questo The Last Duel ci si trova di fronte a uno dei prodotti più convincenti e riusciti della filmografia post-2000 del regista.
Il film, che racconta la storia vera di un processo e del Duello di Dio (l’ultimo legittimato dalla legge nella Francia del XIV secolo) che ne conseguirà, presenta la vicenda attraverso il punto di vista di tutti e tre i personaggi principali, ovvero l’accusatore Jean de Carrouges (Matt Damon), l’accusato Jacques Le Gris (Adam Driver) e la moglie del primo, Marguerite de Carrouges (Jodie Comer), vittima del delitto di violenza carnale in questione. Ciò che rende veramente notevole narrazione è che essa venga strutturata secondo la forma classica, almeno a livello di immaginario cinematografico, dei processi giudiziari: il primo atto rappresenta l’arringa dell’Accusa, il secondo quella della Difesa e il terzo la deposizione del testimone chiave, che sfocia poi nella Sentenza-Duello finale.
Questa costruzione dell’intreccio funziona perfettamente senza risultare pesante o ridondante e permette allo spettatore di rivivere le stesse sequenze più volte, notando tutti i piccoli cambiamenti causati dalla distorsione della percezione e della memoria di chi racconta.
Nel realizzare questa struttura narrativa, che sulla carta sarebbe potuta apparire eccessivamente ripetitiva, Scott è aiutato da un cast stellare in ottima forma: Jodie Comer ruba indubbiamente la scena, regalando un’interpretazione straordinariamente intensa, soprattutto nella seconda parte della pellicola, e affermandosi come vera e propria protagonista morale della storia. Notevole anche la prova attoriale di Ben Affleck nei panni del Conte Pierre, un personaggio davvero ben scritto: tragicomico, a tratti grottesco, funziona molto bene e dà respiro allo spettatore, spezzando il tono drammatico del film.
Valutazioni opposte, invece, per quanto riguarda i due rivali: se Matt Damon riesce ad essere in parte dall’inizio alla fine, fornendo nel complesso un’ottima interpretazione, lo stesso non si può dire di Adam Driver, che nonostante abbia sicuramente il physique du role giusto, risulta il meno convincente del quartetto.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, Ridley Scott si conferma una garanzia di qualità per quanto riguarda la messa in scena che è, come al solito, eccezionale, dimostrando ancora una volta il suo incredibile talento visivo.
La fotografia è eccellente e coerente con le ambientazioni: tutti gli esterni presentano colori fortemente desaturati, in cui sono i toni dei grigi e dei blu a farla da padroni, in un paesaggio costantemente gelido e innevato (chi scrive, dopo mezz’ora di film, si è dovuto rimettere la giacca come “percependo” il freddo trasmesso dalle immagini) che contrasta fortemente, però, con gli interni illuminati da calde e morbide luci di candele e camini. Oltre alla direzione della fotografia magistrale di Dariusz Wolski, però, è necessario lodare anche il reparto scenografico, che riesce a creare degli ambienti estremamente dettagliati e credibili, che trasportano immediatamente lo spettatore nel mondo medievale del XIV secolo, anche grazie a straordinarie vedute in esterna ricostruite in CGI, che restano sempre coerenti con il lessico visivo del film ed evitano quel fastidioso effetto “videogioco” a cui, purtroppo, si assiste ormai troppo spesso.
Ciò che, però, rende veramente notevole a livello tecnico questa pellicola sono le scene di combattimento, girate con una sicurezza e una maestria che pochi altri registi oltre a Scott possono vantare.
Prendendo a piene mani dalle sue fatiche precedenti (su tutte Il Gladiatore e Le Crociate), il regista regala sequenze di guerra davvero strabilianti, la cui unica pecca è – forse – la durata troppo breve, in quanto del materiale così ben diretto avrebbe meritato sicuramente qualche minuto di schermo in più. Minuti che non vengono lesinati, invece nella scena finale del duello, certamente una delle migliori del film e, probabilmente, una delle migliori sequenze di combattimento viste in un prodotto audiovisivo negli ultimi anni, nella quale Scott riesce a far immergere totalmente lo spettatore in uno scontro terribile, facendo percepire tutta la fatica dei duellanti, il peso delle armature in ferro, la violenza dei colpi di spada e ascia, mantenendo costantemente altissima la tensione e il pathos che una sequenza del genere comporta.
Oltre alle grandissime scene che possono essere definite d’azione, la regia risulta molto efficace anche nelle sequenze più intime e drammatiche, che colpiscono quando devono colpire ed emozionano quando devono emozionare.
Per quanto riguarda, invece, il contenuto tematico dell’opera, il film si fa notare per l’importanza e l’attualità del messaggio e per il coraggio nel raccontarlo, senza risultare mai retorico o inutilmente didascalico. In una Hollywood scossa, ormai da qualche anno, dal caso Weinstein e dalla nascita del movimento MeToo, Scott e i suoi sceneggiatori (gli stessi Damon e Affleck, insieme a Nicole Holofcener) realizzano una pellicola che punta dritta al cuore della questione, raccontando una storia che, prima che una dichiarazione politica, è un dramma fortemente umano, che problematizza alcuni tra i temi chiave della società contemporanea, in cui spesso le vittime di abusi e violenze vengono colpevolizzate e inquisite.
The Last Duel, in sintesi, ricorda al mondo come ancora oggi, purtroppo, ci voglia un coraggio eroico per denunciare, nonché forza e caparbietà per ottenere giustizia, e come chiedere a una vittima di stupro cosa indossasse, che cosa avesse bevuto o se possa aver in qualche modo provocato il suo aguzzino restino domande medievali, che non dovrebbero più essere poste nell’Anno del Signore 2021 d.C.
Questo articolo è stato scritto da:
Scrivi un commento