La serialità italiana è spesso associata, in maniera ironica, allo stereotipo per cui una buona parte dei prodotti televisivi mainstream nostrani abbia come argomento principale la criminalità organizzata, o siano impostate su un modello crime o poliziesco. Se è vero che il panorama televisivo italiano contemporaneo è imprescindibile dalle due pietre miliari Romanzo criminale e Gomorra, più di recente si è provato a diversificare con l’uscita di prodotti quali Bang bang baby o The bad guy, dalla connotazione volutamente stilizzata, nel tentativo di sperimentare nuovi linguaggi su un argomento già esplorato in diverse salse. In questo senso, The good mothers rappresenta l’ultimo riuscito tentativo di svecchiare la produzione televisiva nostrana, con l’obiettivo di raggiungere una distribuzione internazionale.

La nuova serie uscita su Disney + (e distribuita internazionalmente dalla piattaforma Hulu) è infatti una co-produzione italo-britannica, basata sul romanzo di Alex Perry – anche sceneggiatore degli episodi – The Good Mothers: The True Story of the Women Who Took on The World’s Most Powerful Mafia e diretta da Julian Jarrold (Becoming Jane, alcuni episodi di The Crown) ed Elisa Amoruso (Time is up), ed è stata ampiamente pubblicizzata a seguito della vittoria del Berlinale Series Awards alla 73 edizione del Festival del Cinema di Berlino, come miglior serie drammatica.

L’universo oscuro della mafia

Ma se il cast tecnico comprende molti addetti ai lavori internazionali, l’argomento, ispirato a vicende reali, è perfettamente in linea con il contesto storico italiano. La serie parte infatti da un fatto di cronaca del 2009: l’omicidio di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa dalla ‘ndrangheta dopo le sue testimonianze sull’ex compagno Carlo Cosco. Le vicende di Garofalo (interpretata da Micaela Ramazzotti) si intrecciano alle storie di altre donne, dalla figlia Denise (Gaia Girace) alla collaboratrice Giuseppina Pesce (Valentina Bellè) al magistrato Anna Colace (Barbara Chichiarelli), a capo di una task force per coinvolgere le “donne di mafia” nello smantellamento delle attività della ‘ndrangheta.

La narrazione ricorre di rado agli stereotipi del genere: l’approccio viscerale e stilizzato delle vicende mafiose è ridotto al minimo in favore di uno introspettivo, attento alla psicologia e all’affresco dell’ambiente più che all’accuratezza biografica o cronachistica – e infatti le polemiche al riguardo non sono mancate -. Prima di essere una serie biografica o crime, The good mothers è infatti un drama intimo sulla profonda solitudine della vita femminile, nell’universo mafioso dominato dalle regole dei maschi.

Una serie dal respiro internazionale

The good mothers è molto convinta dei suoi mezzi: rigorosa nella messa in scena, efficace nel creare un’atmosfera oppressiva e nel dipingere il mondo malato della criminalità organizzata. Dietro la macchina da presa, Jarrold e Amoruso bilanciano con indubbio mestiere descrizione e introspezione, tensione e dramma personale, e hanno il merito di mettere al centro di tutto il loro cast di bravissime interpreti. Merito, questo, soprattutto se si considera un contesto seriale che ancora latita di cast corali al femminile che siano davvero al centro della ribalta.

L’argomento è sempre tristemente di attualità, e la serie ne è consapevole: fa il suo nel tentare di gettare una luce sul mostro tramite una prospettiva inedita, quella delle donne di ‘ndrangheta.

Se The good mothers riesce a inserirsi in un più ampio discorso di percezione della criminalità organizzata, dall’altra parte non punta a creare un nuovo linguaggio e si poggia su basi stilistiche ben consolidate. Questa relativa mancanza di ambizione nell’impiego del mezzo è la sola vera pecca di un prodotto dalla confezione altrimenti molto solida ma scarsamente innovativo. Per vedere se riuscirà davvero a distinguersi dal resto delle produzioni italiane bisognerà aspettare; quel che resta, per il momento, è una serie da vedere e su cui riflettere.

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Valentino Feltrin,
Redattore.