Il più atteso film di questo inverno è l’ultimo lavoro di Wes Anderson, un racconto a episodi in cui la tragica morte del caporedattore di un giornale dà l’occasione di ripubblicare i suoi articoli di maggior successo per celebrarlo. Bill Murray interpreta Arthur Howitzer Jr., capo e coordinatore dei giornalisti della rivista “The french dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun”. L’attore feticcio di Wes Anderson è il protagonista di una cornice che apre il film e racchiude i diversi episodi narrativi che costituiscono la trama: si tratta di un romanzo a episodi, dati da ognuna delle storie ripubblicate.

Il giornale di questo film, che ha sede nella cittadina francese immaginaria di Ennui, di cui le riprese sono state realizzate ad Angoulème, è un chiaro riferimento al New Yorker, periodico statunitense molto amato dal regista e celebre per uno stile giornalistico spesso al limite della narrativa.

Il racconto della città di Ennui in un confronto tra passato e presente (opera di un giornalista interpretato da Owen Wilson), la storia di un commerciante d’arte (Adrien Brody) che nota del potenziale in un detenuto (Benicio del Toro), un movimento giovanile rivoluzionario (Timothée Chalamet) e una narrazione di droghe, mistero e cucina (Jeffrey Wright) sono le diverse vicende che ci vengono presentate.

Lo stile del regista è riconfermato: inquadrature simmetriche al cui interno personaggi e oggetti vengono perfettamente orchestrati, protagonisti dal sapore melanconico ma dotati di un’ironia elegante, e stavolta ai caratteristici colori pastello si aggiunge anche un gioco col bianco e nero, con cambi repentini che sorprendono ma affascinano, in grado di rappresentare la trasposizione in immagini degli articoli.

Il film rischia di risultare a tratti pesante da seguire poiché ricolmo di elementi a cui prestare attenzione. Una sovrabbondanza di dettagli, data anche dalla divisione delle trame, a volte fa in modo che la narrazione sia poco entusiasmante, nell’ultimo episodio soprattutto. Tuttavia con un cast d’eccezione, una colonna sonora degna di nota, il tipico stile di Wes Anderson e il non indifferente contributo dell’episodio di Chalamet il film riesce sicuramente a distinguersi. Adrien Brody, Benicio del Toro, Léa Seydoux,  Timothée Chalamet, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Willem Dafoe, Saoirse Ronan e Frances McDormand sono solo alcuni dei nomi presenti. 

Che The french dispatch rappresenti l’apice della carriera del regista Texano sembra essere opinione comune ormai, ma un’affermazione del genere in rapporto alla qualità effettiva del film richiede un’analisi maggiore.

Cosa rende tale un film di Wes Anderson?

Elementi caratteristici ormai entrati nella cultura popolare sono i suoi dettagli reiterati a livello stilistico. The french dispatch è il trionfo visivo del mondo interiore del regista portato alla sua estrema realizzazione. Tuttavia il suo cinema non si limita a questo. Spesso accusato di riproporre sempre gli stessi personaggi, il regista non ha mai negato la veridicità di questa critica. Proprio in questo film invece ci si discosta lievemente dalla parte più “profonda” del suo stile. La narrazione episodica rende impossibile scavare all’interno dei personaggi per portare progressivamente e delicatamente fuori i traumi e dolori passati che li hanno resi quelli che sono. Il passo che si compie oltre la maschera di ironia ed eleganza è minimo. Questo non è necessariamente un elemento negativo, ma porta solo il film a rientrare all’interno di altri canoni. Quindi è certamente il film più wesandersoniano della carriera del regista da un punto di vista visivo, ma una valutazione della sua opera solo da questa prospettiva risulta estremamente riduttiva.

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Gaia Fanelli, Redattrice