Tra il 1988 ed il 1989 arriva nelle fumetterie di tutto il mondo Il Corvo, uno dei prodotti più iconici del panorama fumettistico di tutti i tempi. La storia scritta da James O’Barr, che mescolava la tragica morte della propria fidanzata in un incidente automobilistico con il caso di omicidio di due amanti per il furto di un anello da 20 dollari, consacra infatti a culto la figura di Eric Draven: personaggio dai lunghi capelli neri ed il volto truccato ispirandosi alla maschera del teatro francese che rappresenta l’ironia, figura rediviva con il solo obiettivo di vendicare la morte della propria amata attraverso tavole cupe ed inquietanti.
Non passa ovviamente molto tempo prima che si decida di portare il personaggio anche al cinema e poche parole servono per parlare della pellicola del 1994 diretta da Alex Proyas e che vede Brandon Lee nel suo triste ma glorioso ultimo ruolo prima della morte avvenuta proprio sul set durante le riprese. Un film divenuto cult ancora prima dell’uscita, che fin da subito divenne icona di un’epoca e di uno stile di vita grazie alle sue atmosfere gotiche, cupe e malinconiche accompagnate da una colonna sonora impattante tra sonorità punk, metal e gothic.
Dove eravamo rimasti?
Inevitabile a sua volta lo sfruttamento di un nome fin da subito così blasonato ed ecco quindi arrivare tre sequel: nel 1996 esce Il Corvo 2 (The Crow: City of Angels) con cui Tim Pope mette in scena quello che a conti fatti può sembrare un lunghissimo videoclip musicale di 84 minuti – non a caso la carriera dello stesso Pope si forma e raggiunge il suo apice proprio in quel campo – in cui tutto però funziona comunque a meraviglia, con un Vincent Pérez convincente come nuovo Corvo, un’ottima atmosfera ed una colonna sonora perfetta, incartandosi però nell’essere un more of the same che poco aggiungeva a quanto già fatto dal precedente; alle porte del 2000 arriva Il Corvo 3 – Salvation, progetto destinato in partenza al fallimento salvato da un Bharat Nalluri che porta, direttamente in home video, un prodotto tutto sommato godibile, che soffre inevitabilmente dei limiti di un budget ridotto e di una storia infarcita di stereotipi ma che riesce, a conti fatti, ad essere comunque un film sul Corvo; elemento da non dare per scontato soprattutto in vista del quarto ed ultimo capitolo della saga Il Corvo – Preghiera Maledetta, uscito nel 2005 per la regia di Lance Mungia che ripesca alcuni degli elementi meno convincenti delle pellicole precedenti e li mette in scena in un susseguirsi di scene completamente sbagliate, dalla regia alla scrittura fino alla recitazione: decisamente il punto più basso raggiunto dalla saga del Corvo. Almeno fino a quel momento.
P.S. Per completezza, al discorso andrebbe aggiunta anche la serie tv trasmessa tra il 1998 ed il 1999 The Crow: Stairway to Heaven, in cui si raccontano con struttura seriale le vicende di un Eric Draven motivato dal desiderio di redenzione, piuttosto che di vendetta, ma non essendo stato possibile per chi scrive recuperarla – essendo particolarmente difficile da reperire per vie legali – si preferisce non approfondire l’argomento.
Eric Draven, tra mullet e tatuaggi
Dopo dei titoli di testa estremamente accattivanti – e che ricordano non poco quanto fatto da Fincher nel suo Millenium – la pellicola ci presenta per prima Shelly (FKA twigs), giovane e bella ragazza che, per sfuggire ad alcuni pericolosi e loschi individui, finisce in un centro di riabilitazione nel quale incontra Eric Draven (Bill Skarsgård), ragazzo dall’infanzia travagliata e tormentato da visioni ed incubi ricorrenti. Tra i due scatta presto l’amore, tanto da convincere i due a fuggire insieme (in maniera sorprendentemente facile) per poter consumare il loro amore in libertà. Non passa però molto tempo che, inevitabilmente, i due vengono rintracciati dai criminali alla ricerca di Shelly che finiscono per uccidere entrambi. Arrivato in una sorta di limbo Eric, guidato da una strana figura ed un corvo, accetterà di tornare nel mondo dei vivi con straordinari poteri da redivivo giurando vendetta agli assassini che l’hanno privato dell’amore.
Partiamo subito con il dire che nel sommario appena presentato c’è in realtà un errore: perché se è di fatto vero che l’amore tra i due scatti in maniera fulminea e, a conti fatti, il tempo passato assieme dai due sembra essere poco, la pellicola decide di riservare a tutto questo metà del suo minutaggio, portando lo spettatore ad attendere quasi un’ora prima che si incominci ad intravedere un po’ d’azione. Questo è poi ulteriormente acuito dal carattere di Eric, qui molto più chiuso ed introverso dell’originale, portandolo quindi a tornare in vita non come macchina di morte ma più come un ragazzo impacciato dotato di un grande forza che non sa però sfruttare. Se sulla carta questo avrebbe potuto aiutare ad empatizzare maggiormente con un personaggio mosso dalla vendetta ma di fatto buono, finisce per allungare ulteriormente i tempi proponendo delle sequenze d’azione che sembrano “trattenersi” e che quindi non riescono ad intrattenere fino in fondo. Aggiungiamoci inoltre che, dove l’Eric Draven di Brandon Lee rappresentava appieno una generazione sia a livello estetico che attraverso le tematiche trattate, questo nuovo Eric sembra fare il verso ad alcune nuove “star” del panorama musicale, non riuscendo però a renderlo iconico e ad avere lo stesso appeal.
Tanto sangue, poco cervello
A complicare ulteriormente le cose si inseriscono poi altri due elementi: il primo identificabile nel villain Vincent Roeg (Danny Houston), un signore del crimine dotato di poteri demoniaci capaci di convincere le persone ad uccidere per poi spedire la loro anima all’inferno, guadagnando così l’eternità; il secondo si manifesta invece verso i due terzi dello screen time quando, a causa della decisione di porre come debolezza del protagonista non più il Corvo ma la necessità di un amore sempre saldo, Eric incontra la morte una seconda volta, ritrovandosi così obbligato a fare uno scambio di anime, legandosi per sempre al mondo dei morti ma con la possibilità di un ultima chance di uccidere Roeg. E’ infatti a questo punto che Eric diventa definitivamente il Corvo, indossa il suo lungo cappotto, si trucca con l’inchiostro il viso ed impugna una simil katana per lanciarsi in una lunga – e bisogna dire – ottimamente coreografata sequenza di combattimento in cui il film esaspera ulteriormente i toni già molto violenti della pellicola cadendo a tratti nel gore, tra arti mozzati, bocche squarciate e sangue ad ettolitri che, se possono fare la felicità degli amanti della violenza estrema, finiscono per bruciare alla pellicola una buona parte di pubblico.
Sembra, infatti, che con questo remake – o reboot, che dir si voglia – si sia cercato di voler fare le cose ancora più in grande, approfondendo i background del protagonista e della sua amata, inserendo un villain con poteri sovrannaturali, cercando di donare profondità alle scelte compiute dai vari personaggi e mettendo in scena una violenza a tratti estrema, finendo però per non proporre nulla di davvero convincente. I tempi riservati alla backstory di Eric e Shelly risultano tanto dilatati quanto mal gestiti, impedendo allo spettatore di ritrovare una qualsivoglia verosimiglianza con una normale storia d’amore; Eric impiega davvero troppo tempo a divenire il Corvo e, quando lo fa, non mostra un briciolo del carisma delle precedenti iterazioni – anche se qui ci teniamo a spezzare una lancia in favore di Skarsgård, che sembra davvero mettercela tutta per dare vita e personalità ad un personaggio che però proprio dalla sceneggiatura sembra uscirne piatto come il mare dopo la tempesta; infine il villain non riesce mai davvero a dimostrarsi come una minaccia, in primis a causa dell’impossibilità di legarsi ai personaggi che cadono per mano sua, ma soprattutto a causa della decisione di non inserire un vero e proprio scontro finale, quanto piuttosto un banale scambio di battute poco sagaci – senza contare i suoi scagnozzi, uno più generico dell’altro, portando quindi a rimpiangere non solo il grande Top Dollar dell’originale ma anche i vari T-Bird, Fanboy, Tin Tin e compagnia. A questo si aggiungono una colonna sonora che abbandona i toni dell’originale in favore di tracce estremamente generiche ed un design della città che cerca di essere cupo e gotico ma che manca, di fatto, di spirito ed unicità.
Conclusioni
A quasi vent’anni dal pessimo quarto capitolo, Il Corvo torna al cinema più stanco che mai. Il remake/reboot firmato Rupert Sanders sembra infatti non riuscire a comprendere il valore intrinseco della storia da cui prende ispirazione, trasformandola in una pellicola che si dimena per metà del suo minutaggio nelle spiagge dei film romantici più scadenti, per poi ricordarsi di voler essere un film d’azione ma ingranando la marcia soltanto negli ultimi venti minuti, facendo grattare il cambio e rovinando il tutto con una dose eccessiva di sangue che imbratta inutilmente l’unica sequenza d’azione che sarebbe potuta essere degna di nota. Aggiungiamo a tutto questo un Eric Draven con cui risulta impossibile empatizzare che si trasforma poi in un Corvo senza carisma per affrontare un villain piatto e senza carisma, una colonna sonora dimenticabile e per nulla iconica e delle scenografie senza vita: si ottiene così, a conti fatti, forse il peggior adattamento cinematografico del Corvo, poiché se Preghiera Maledetta manifestava un problema dietro l’altro almeno manteneva un briciolo di quanto aveva reso Il Corvo l’icona che conosciamo. In questa nuova pellicola non c’è nemmeno quello.

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