Seguendo l’ormai collaudata formula dei tre episodi iniziali e della successiva uscita settimanale, è indubbio che l’ultimo mese sia stato completamente all’insegna di The Boys. L’attesa della quarta stagione, fin dall’apertissimo finale della terza passando per l’eccezionale spin-off Gen V, è stata poi costellata da approfondimenti dalla formidabile genialità direttamente dalle pagine ufficiali – non smetteremo mai di tessere le lodi dei vari account Instagram diegetici presenti nel mondo reale, con news sui principali eventi del mondo di The Boys e costanti aggiornamenti sul fittizio Vought Cinematic Universe – associate ai numerosissimi meme legati ai personaggi a cui si aggiungono, come ciliegina sulla torta, gli ormai classici, ma sempreverdi, disclaimer ad inizio episodio con cui, sul finale, non solo si avverte delle tematiche sensibili ma si prendono le distanze da quanto avvenuto pochi giorni prima riguardo all’attentato a Trump (associato addirittura dalla sostituzione del titolo originale “Assassination Run” con un ben più insipido “Finale della quarta stagione”).
Ma è, di fatto, riuscita questa quarta stagione a vivere oltre le aspettative ed a conquistare anche gli spettatori più critici? Vale la pena parlarne un attimo.
“E’ così facile diventare un mostro qui”
Ashley (4×07)
Nelle puntate precedenti (attenzione: spoiler)
Innanzitutto è fondamentale sottolineare come, a questo punto del racconto, risulta non solo indispensabile aver visto le precedenti stagioni, ma essere anche in pari con i prodotti laterali: se The Boys: Diabolical presentava infatti delle puntate autoconclusive che cercavano un legame soprattutto con il materiale cartaceo piuttosto che con quello televisivo, visti gli sviluppi di trama estremamente intrecciati e la comparsa/ritorno di numerosi personaggi tutt’altro che marginali diventa fondamentale aver recuperato Gen V.
Riassumere in poche righe quanto si presenta nell’incipit della stagione risulta perciò un’operazione tutt’altro che semplice: successivamente all’accordo politico stipulato tra Victoria Neuman e il candidato alla presidenza Singer, i Boys si ritrovano impegnati in una missione di assassinio orchestrata dalla CIA ai danni proprio della Neuman, ritenuta troppo potente e pericolosa per rimanere in una posizione di comando (visti anche i poteri di cui è dotata). Inutile dire come, nel classico stile della serie, niente va come pianificato e si aprono quindi le porte a quanto farà da sfondo per il resto della stagione: sul versante politico ed ideologico, continua il processo nei confronti di Homelander, accusato di omicidio, sul quale si sfrontano davanti alla corte gli schieramenti pubblici degli Starlighters e degli Homelanders, inevitabilmente destinati allo scontro violento; i Boys si dimostrano più divisi che mai, con un Butcher sull’orlo del precipizio a causa del tumore procurato dall’utilizzo sconsiderato di Temp V portato a dividersi tra le visioni di una pacifica Becca e la comparsa del vecchio compagno militare e dichiaratamente anti-super Kessler, MM che fatica a mantenere le redini del gruppo, Kimiko e Frenchie costretti a fare di nuovo i conti con il proprio passato e Hughie attanagliato dalla possibile perdita di una persona cara; in una condizione tutt’altro che migliore si trovano comunque anche i Sette, con un Homelander ossessionato dal proprio invecchiamento, un Deep sempre più stralunato e fuori dal mondo che sviluppa un legame quasi fraterno con il nuovo sostituto di Black Noir ma soprattutto con l’arrivo di due nuovi membri, la persona più intelligente del mondo Sister Sage e la negazionista e complottista – oltre che militante di movimenti di estrema destra – Firecracker.
Quanto presentato quindi nel corso degli otto episodi segue una struttura decisamente classica e comune a numerose serie: la trama orizzontale è sempre presente, in alcuni casi con sequenze di discreta lunghezza ma molto più spesso attraverso piccoli aggiornamenti costanti che sembrano quasi a fungere quasi da intermezzo tra le sequenze che rappresentano davvero il cuore della serie, ovvero i singoli approfondimento relativi ai personaggi.
Le serie ai tempi dello streaming… O forse no
Quanto è stato appena presentato si dimostra ormai come fattore comune alla maggioranza della serialità televisiva presente sulla maggior parte delle piattaforme: basti pensare, tanto per fare un esempio, a come la quarta stagione di Stranger Things avesse interi episodi dedicati all’esposizione di vicende utili soprattutto allo sviluppo dei singoli personaggi. Se ad una prima occhiata ciò sembra essere una nuovissima tendenza, le radici affondano direttamente alle origini della serialità come la intendiamo oggi partendo da Twin Peaks fino all’esempio perfetto: Lost. Dove però la serie culto creata da J.J. Abrams creava una situazione di contorno utile ad approfondire i personaggi, ciò che The Boys propone non risulta essere proprio lo stesso: questo perché il modo di raccontare della serie, più che al mondo della televisione, sembra fare molto più l’occhiolino agli albi a fumetti, non tanto nello specifico al materiale originale sviluppato da Garth Ennis ma alla gestione generale di una qualsiasi run a fumetti: ogni episodio (come ogni albo) presenta uno spunto di partenza da cui si parte per raccontare le vicende dei personaggi, arrivando a fine puntata in una situazione di risoluzione delle singole problematiche tornando quindi a discutere della grande trama generale solo negli ultimi minuti (o negli episodi successivi).
Quanto appena enunciato porta alla luce un rischio, soprattutto sul lungo termine, di una certa stagnazione o per lo meno di una sensazione di stanchezza da parte degli spettatori meno svezzati, che aspettano una intera settimana per vedere la loro serie avanzare di pochissimo verso l’effettiva meta finale a favore di una lunga e corposa deviazione. Bisogna però anche sottolineare in cosa The Boys ha sempre mostrato grande lucidità, tanto da rendere ciò il suo vero cuore: la distruzione delle icone supereroistiche e la satira politica e sociale. Sul primo fattore questa quarta stagione si è forse dimostrata leggermente più debole delle precedenti, manifestando comunque discreti picchi (la gestione di Tek Night e Webweaver come rispettive “riscritture in chiave The Boys” funzionano alla perfezione con non poche chicche per i più smaliziati, a cui si aggiungono gli spettacolari spezzoni sul Vought-Con attraverso il quale si mira, con una nemmeno troppo velata ironia, a prendere di mira gli infiniti ma costantemente soggetti al cambiamento piani per gli universi condivisi), sulla satira politica la quarta stagione decide senza dubbio di premere sull’acceleratore, in particolare tramite le fantastiche new entry Firecracker e Sage con le numerosissime sequenze a loro dedicate (tra battute sugli effetti dei vaccini, sfruttamento della propaganda cristiana anti-aborto e discussioni sul razzismo) ma soprattutto con l’episodio finale incentrato, nella grande totalità, sul tentativo di assassinio del presidente, dimostrando quanto la serie si leghi a doppio filo con una realtà ogni giorno più grottesca.
Piccolo plauso per il “fattore shock” sempre presente ma in maniera più dosata rispetto alla terza stagione: non abbiamo forse un “Herogasm”, ma il sangue scorre comunque a fiumi riuscendo però a risultare ben più impattante, assieme anche alla gestione di numerose battute completamente assurde che elevano la serie nell’olimpo della serialità più geniale dell’ultimo periodo.
Conclusioni
Quanto fatto con la quarta stagione di The Boys può, di fatto, non piacere a tutti: moltissimi elementi centrali della serie rimangono – dal sangue alla satira politica più pungente, passando ovviamente per la riscrittura tutt’altro che bonaria dei supereroi classici – ma si decide di puntare ad una narrazione fortemente verticale, in cui è l’approfondimento del personaggio che avviene in ogni singola puntata a manifestare un ruolo più centrale rispetto alla trama orizzontale, probabilmente con lo scopo di preparare adeguatamente il campo per la quinta stagione finale.
Dopo aver assistito ad un’involontaria predizione del reale ed esser rimasti scioccati tra peni giganti, centipedi umani a sfondo sessuale e fiumi di sangue, non resta quindi che attendere l’ultima stagione nella speranza che tutti gli elementi introdotti finora ottengano una degna conclusione. Ma gioiamo, perché se dovremo aspettare il vero finale per almeno due anni, molto meno è invece il tempo d’attesa per la seconda stagione di Gen V e, se si dimostrerà gradevole almeno la metà della precedente, saremo ancora davanti ad uno dei prodotti televisivi degli ultimi anni. God bless America, but Erick Kripke too.
“Perché qui, oggi, comincia una nuova era per i supereroi”
Homelander (4×08)

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