Il progetto di uno spin-off sul cacciatore di taglie Boba Fett, personaggio di Star Wars apparso al cinema per la prima volta in L’Impero colpisce Ancora, era in cantiere da parecchio tempo: ci è voluto il successo quasi inaspettato di The Mandalorian, e le successive serie live-action di Star Wars programmate a seguire, per aprire le porte alla realizzazione di The Book of Boba Fett.
Creato come sketch animato nello speciale televisivo The Star Wars Holiday Special – consigliatissimo agli amanti del trash e ai fan di Star Wars più masochisti – , assurto a uno status di culto dopo il suo esordio cinematografico, Boba Fett non è in realtà mai stato un personaggio approfondito a dovere nei film. Per questo, The Book of Boba Fett si propone di assolvere a questa mancanza dopo il ritorno del personaggio nella seconda stagione di The Mandalorian.
LA BALLATA DI BOBA FETT
La serie inizia in modo promettente, nonostante la narrazione estremamente lenta possa renderne difficile il pieno godimento ai non fan della saga. Almeno all’inizio, la serie è meno orientata all’avventura e più al character study di questo personaggio leggendario ma – finora – senza una vera personalità. L’ex cacciatore di taglie diventato boss del crimine, interpretato qui da Temuera Morrison, è costretto ad affrontare il proprio passato, dall’infanzia segnata dalla morte del padre Jango fino al suo percorso di rinascita e redenzione dopo essere sfuggito dalle fauci del Sarlacc che stava per divorarlo. Per i primi episodi, la serie è volta ad esplorare il lato più vulnerabile di uno dei personaggi più iconici del franchise. Questa è l’idea sicuramente più originale, e in linea con quanto fatto finora con personaggi come Luke Skywalker, Han Solo e Darth Vader, ripresi anni dopo la loro prima apparizione per mostrare che c’è di più dietro i personaggi fondamentali nell’immaginario collettivo dei fan della saga. E, almeno all’inizio, il percorso di morte e resurrezione di questo cacciatore di taglie convince e coinvolge. Al contrario di The Mandalorian, però, che perlomeno godeva fin dall’inizio di una regia solida, qui i problemi cominciano a mostrarsi fin da subito in sede di regia.
La maggior parte degli episodi soffre infatti in primis della guida poco ispirata di un Robert Rodriguez che dirige gli episodi col pilota automatico, senza alcun guizzo (la qualità della regia si risolleva solo in parte negli episodi diretti da Bryce Dallas Howard e Dave Filoni). Le scene d’azione sono dirette e montate perlopiù in modo caotico e senza un reale senso dello spazio e del racconto, riducendosi a ralenti con un montaggio serrato che confonde senza coinvolgere. Non aiuta che, dopo un inizio lento ma efficace, la serie cominci a perdere mordente proprio quando è costretta a portare avanti la trama orizzontale di questa stagione, ovvero il mantenimento del potere da parte di Boba Fett e la guerra contro un clan rivale.
THE MANDALORIAN PARTE III
Non è un caso che la trama e l’indagine psicologica di Boba Fett subiscano un severo contraccolpo quando la storyline del passato si unisce agli eventi di The Mandalorian e ritorna in scena il Mandaloriano interpretato da Pedro Pascal nel quinto episodio. Da quando ritorna in scena è proprio lui ad essere il vero centro d’interesse della serie, tanto che l’eponimo Boba Fett risulta un personaggio molto meno interessante a confronto. Di per sé non ci sarebbe nulla di male nel costruire una narrazione in cui il personaggio titolare costituisce solo uno dei personaggi di un cast corale, tuttavia questo diventa un problema quando l’indagine psicologica del protagonista viene abbandonata in favore di fanservice e richiami a prodotti di Star Wars passati e presenti (e futuri).
Star Wars non è solo la storia, ma anche il worldbuilding suggerito più che ostentato, la sintesi di elementi stilistici, costumi e personaggi di sfondo che sottendono un universo narrativo potenziale – lo stesso Boba Fett nei film è solo un personaggio terziario con una bella armatura.
Oltre alla sintesi di ispirazioni e immaginari che ci si aspetta da qualsiasi prodotto targato Star Wars (dal western al fantasy al cinema gangster), in questa serie è chiara l’intenzione di unire diversi elementi dell’universo multimediale (e transmediale) costruito dal franchise negli ultimi anni. E così, oltre a film e serie televisive, la serie richiama anche i fumetti, le serie animate e i libri, contribuendo all’idea di un universo condiviso com’era stato con The Mandalorian. Eppure, The Book of Boba Fett pecca anche da questo punto di vista: il fatto che la quasi totalità della serie sia ambientata in un unico luogo con gli stessi personaggi limita di molto il potenziale immaginativo e creativo di questa particolare storia, e contribuisce a rendere molto più piccola questa galassia lontana lontana.
UNO STAR WARS MINORE
I numerosi paragoni con The Mandalorian nel corso di questa recensione non sono stati casuali: The Book of Boba Fett è, nel bene e nel male, emanazione diretta della serie madre in stile, tono, narrazione e personaggi. Tuttavia, se la serie di partenza aveva quantomeno delle fondamenta solide su cui costruire le sue avventure episodiche, questo spin-off è un prodotto dai piedi d’argilla, che non sembra avere di partenza molte idee, e quelle che ha vengono sviluppate in maniera altalenante.
La natura estremamente derivativa di questo prodotto ne rende inoltre ostica la comprensione a chi non abbia già visto le due stagioni di The Mandalorian. Per chi l’ha già fatto e per i fan assidui di Star Wars, le avventure di questo Mandaloriano potrebbero essere di qualche interesse; tutti gli altri possono tranquillamente farne a meno.
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