E’ finalmente approdato in Italia Terra e polvere (anche se in appena 33 sale cinematografiche), sesto lungometraggio del regista quarantenne cinese Li Ruijun e in concorso lo scorso anno per l’Orso d’oro al Festival di Berlino (vinto da Alcarràs di Carla Simón). Terra e polvere è il titolo italiano, 隐入尘烟 è quello originale (traslitterabile in Yin Ru Chen Yan), mentre in tutto il mondo è conosciuto con il titolo internazionale Return to dust (“Ritorno alla polvere”), perché l’opera di Ruijun è a tutti gli effetti un ritorno: quello del regista alla sua terra natìa (girando il film nel suo villaggio natale Huaqiangzi, nella provincia di Gansu: la maggior parte degli attori sono abitanti del posto, compreso l’attore protagonista Renlin Wu, zio del regista), e il ritorno fisico dei due protagonisti alla “polvere” come ultimo traguardo obbligato dal governo cinese.
Nel film siamo infatti nel 2011 in un territorio nel nord-ovest della Cina, dove viene narrata la storia di Youtie (Wu Renlin) e Guiying (Hai Qing), un uomo e una donna che a causa dell’età che avanza e della povertà della zona in cui vivono, cominciano a pesare sull’economia delle rispettive famiglie. Proprio per questo motivo i parenti organizzano il loro matrimonio combinato, costringendoli di fatto a un’esistenza povera e solitaria (sia socialmente che emotivamente). Tuttavia sarà proprio il legame puro e genuino della coppia a permettere di abbandonare l’alloggio rurale assegnato dallo Stato e intraprendere un duro percorso di crescita sia interiore che sociale, in cui la forza dei legami umani, quella dei sentimenti e della purezza d’animo, prevarranno su tutto, anche sulla destinazione finale a cui costringe il Paese: la morte.
Terra
“Terra” come località, Huaqiangzi, dove Hai Qing ha vissuto diversi mesi in preparazione al suo ruolo affiancata dall’attore non professionista Wu Renlin, scelto in qualità di contadino locale con il compito di insegnarle a seminare il terreno, fare il raccolto e imparare a costruire case di mattoni di fango (compresa quella che vediamo nel film). Ma “terra” anche come appezzamento, quello che con il sacrificio e la forza di volontà, assieme al reciproco e prezioso sostegno morale, la coppia coltiva quotidianamente per uscire dall’estrema povertà in cui versa, tentando di vivere dei frutti dei terreni; è proprio in questo senso che la “terra” diviene molto di più: un simulacro dell’esistenza di Youtie e Guiying, una vita fatta di stenti e di ostacoli imposti anche dal governo e dalla società cinesi (per Ruijun non c’è differenza fra i due), i quali non provano vergogna nemmeno a togliere – letteralmente – il sangue a Youtie (già secco come le spighe di grano che coltiva), quando gli sarà chiesto di sottoporsi a trasfusioni per salvare la vita di un uomo d’affari locale.
Un governo che pensa solo alla sua propaganda, come quando offre alla coppia un nuovo appartamento in città senza preoccuparsi minimamente delle loro condizioni sociali e ben conscio dell’insostenibile portata di tale cambiamento, che costringerebbe Youtie e la moglie a mutare radicalmente vita, abbandonando tutto ciò che hanno duramente costruito e allevato, compreso il loro dolce asinello (la cui liberazione finale assume così i tratti di una liberazione interiore). La stessa propaganda che il governo propina agli agricoltori locali quando, per migliorare l’aspetto del villaggio, decide di rimediare alla demolizione delle loro case inutilizzate semplicemente con il pagamento di una somma di denaro. Un gesto tanto insignificante per gli altri agricoltori (che omertosi erano già andati a vivere nelle principali città costiere della Cina) quanto lacerante per Guiying e il marito, che dovranno costruirsi una nuova abitazione con le loro mani.
Polvere
Il film è stracolmo di polvere. La polvere riempie costantemente lo schermo così come la vita dei due poveri agricoltori, perennemente avvolti in una coltre di sabbia fine che segna anche fisicamente il loro viso. “Polvere” come ultima destinazione prevista dal governo per i cittadini reticenti a sottostare ai dettami della macchina statale, quei cittadini che al pari delle loro case rase al suolo dalle ruspe, non possono che ricongiungersi alla “terra” e alla “polvere” da cui provengono per la sola colpa di aver voluto proseguire una vita di agricoltura e pochi agi.
E’ qui che subentra la visione unica e preziosa di Ruijun: laddove altri vedrebbero solo dolore e miseria, il regista riesce a dimostrarci come ancora oggi c’è qualcuno per cui contano la forza dei sentimenti e il sostegno reciproco, il sacrificio e il calore degli affetti umani, persone comuni per cui i segni lasciati su una mano da chicchi di mais potrebbero simboleggiare la vicinanza al proprio caro, anche oltre l’abisso ignoto della morte. Perché Terra e polvere è cinema sociale nella sua più pura essenza, dai ritmi dilatati e mai frenetici ma non per questo meno ficcanti e taglienti.
Infine, “polvere” come ciò che rischia di rimanere in Cina di questo film, rimosso il 26 settembre 2022 da tutte le piattaforme streaming nel territorio cinese: una decisione preceduta – per i pochi mesi in cui il film era a disposizione – dal brutale inserimento sul finale di un’apposita frase pro-governo che andava a cambiare radicalmente il senso del film. Un sintomo di come anche pellicole apparentemente pacate e innocue, possano celare al loro interno una forza sociale dirompente capace di toccare persino i vertici di un Paese. Forse il monito di Ruijun è stato avvertito, perché Terra e Polvere ha incassato in patria circa 100 milioni di yuan (14 milioni di dollari), a fronte di un budget di 2 milioni di yuan.
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