A cinque mesi dall’anteprima al Festival del Cinema di Venezia, il film Tár approda finalmente nelle sale italiane. Scritto, prodotto e diretto da Todd Field, regista statunitense alla sua terza regia, Tár può dirsi il più contemporaneo fra i film usciti di recente. È certamente il lungometraggio che abbraccia un significativo campionario di questioni caratterizzanti il dibattito pubblico: i gender studies, lo scandalo Weinstein, il movimento #MeeToo e la cancel culture. Il punto di convergenza di tali tematiche è Lydia Tár (Cate Blanchett), affermata direttrice d’orchestra e compositrice, «bianca, lesbica e monogama», come da lei stessa sottolineato; filantropa ma assetata di potere, eccellente musicista priva di morale che seduce e condanna all’anonimato giovani donne ricolme di talento.
Osannato dalla critica internazionale sia per la sceneggiatura che per l’interpretazione da manuale di Cate Blanchett, Tár racchiude in due ore e quaranta minuti temi attualissimi, senza, tuttavia, influenzare il giudizio del pubblico circa la condotta di Lydia. Genio e sregolatezza? Una Harvey Weinstein al femminile? O un retaggio della condotta patriarcale che è stata assunta senza leggere le controindicazioni?
GENDER STUDIES E LGBTQ+: UNA COMPLESSA ICONA QUEER
Lydia Tár vive tra New York e Berlino, dove è chiamata a dirigere la prestigiosa Filarmonica della capitale tedesca. A breve dovrà condurre la Quinta Sinfonia di Mahler, il suo maestro che tenta di imitare addirittura nelle pose per le copertine dei suoi dischi. È sposata con Sharon (Nina Hoss) ed entrambe hanno una figlia, Petra (Mila Bogojevic). È stimata da colleghi, invidiata dai più mediocri, e nei suoi discorsi non si parla che di musica, di tecnica, di note e di tempo.
Il contesto socioculturale in cui Lydia vive è aperto alle famiglie arcobaleno, alla comunità Lgbtq+ e alla valorizzazione del genio artistico piuttosto che dell’orientamento sessuale. Cate Blanchett, già interprete del personaggio queer Carol Aird nel film Carol (Haynes, 2015), s’immerge completamente in tale ambiente sociale senza subire discriminazioni. Lei è il “Maestro” geniale, attento alla parità di genere – ha istituito un fondo per valorizzare i direttori d’orchestra donna – nonché sostenitrice delle audizioni al buio, durante le quali i candidati eseguono la partitura dietro un paravento, in modo da non influenzare la giuria.
Tuttavia, il personaggio di Lydia è altamente sfaccettato. Pur essendo parte della comunità Lgbtq+, non comprende l’avversità di un giovane studente non-binary della Julliard nei confronti di Chopin, in quanto bianco cis-gender dalla condotta sessuale riprovevole. Per Lydia, invece, l’artista non deve essere confuso con l’uomo: e cerca di farlo capire al giovane pur fruendo di metodi educativi poco ortodossi.
Il Maestro esegue audizioni al buio per essere più trasparente possibile ma tuttavia, la coscienza del suo potere la conduce a domandare favori sessuali a giovani donne intraprendenti in cambio di piccoli benefici, con il benestare dell’assistente Francesca (Noémie Merlant). Una nuova fiamma, l’abile ma acerba suonatrice di violoncello Olga (Sophie Kauer), è il motivo valido per cacciare dalla Filarmonica l’esperto violoncellista Sebastian (Allan Corduner).
Ciò che rende affascinante l’antieroe Lydia è proprio la sua contraddittorietà, le sue scelte altamente diversificate che fanno della donna un personaggio unico nel suo genere. Da un lato, Lydia Tár è un’icona queer che, tuttavia, non limita la sua ragion d’essere entro i confini della sua identità di genere; dall’altro, Lydia Tár è un’abile manipolatrice che mette in moto meccanismi di potere che sono retaggio di una cultura patriarcale misogina.
#METOO?
La tirannide di Lydia prosegue fino a quando una delle sue vittime, Krista Taylor (Sylvia Flote), si suicida. Una rapida rassegna di e-mail, unitamente ad alcune sequenze oniriche, chiarisce meglio la situazione: a seguito di una relazione sessuale naufragata per motivi ignoti, Lydia intraprende una personale battaglia finalizzata a ostracizzare Krista da ogni orchestra. L’eco è certamente quella del movimento #MeToo costituitosi in seguito alle accuse mosse verso il produttore americano Harvey Weinstein.
Con Tár, tuttavia, si verifica un paradosso: Field propone infatti una situazione in cui è una donna a essere carnefice, e sempre una donna la vittima. Pur ergendosi a icona queer, a paladina dei diritti delle direttrici d’orchestra, come dichiarato nell’intervista iniziale, Lydia Tár ha costruito un castello di carte basato proprio sul suo potere acquisito nel corso degli anni. L’assistente Francesca è sottomessa alla sua grandezza, così come la moglie Sharon. Eppure, il suicidio di Krista Taylor è la goccia che fa traboccare il vaso. Facendo uso di un’elegante scelta stilistica, Todd Field non sceglie un tono plateale e melodrammatico per narrare il lento disfacimento del potere di Lydia. La decadenza del Maestro è lenta e silenziosa, e la macchina da presa segue ogni movimento di Tár pur restando sempre sulla soglia della sua interiorità, seguendone i movimenti ma senza scalfirne i pensieri, se non qualche accennato incubo notturno.
Field è chiarissimo: non è possibile permeare la mente di un genio come Lydia Tár; non è possibile comprendere il motivo delle sue azioni deplorevoli. Ciò su cui invece è chiaro è la possibilità che il paradigma della “sorellanza” possa venir meno: una voce fuori dal coro rispetto a quanto sortito dal movimento #MeToo. Lydia Tár è cosciente delle sue azioni, ma tenta di tutto pur di salvaguardare la sua professione e il suo ruolo.
CANCEL CULTURE: ELIMINARE LA CARNEFICE
Tár non è solo una narrazione inversa del caso Weinstein contestualizzato nel mondo della musica classica internazionale; il film di Field racconta la storia di un aguzzino che subisce la sua condanna ed è costretto a pagare finendo a girovagare nel girone infernale della cancel culture. Molto si è detto a proposito, negli ultimi anni: dalla distruzione delle statue di Cristoforo Colombo, fra gli altri, alle scelte politicamente corrette della Disney circa la componente razzista di alcuni prodotti filmici.
Il film di Todd Field è una cabina di risonanza rispetto a un tema tanto rilevante quale è la cancel culture. Lydia Tár, eliminando in fretta e furia le e-mail inviatele da Krista, teme proprio questo: la condanna della cultura contemporanea che non contempla il sopruso e condanna il carnefice. Cate Blancett incorpora alla perfezione i timori di una donna giunta all’apice della carriera, tormentata dall’idea che, da un giorno all’altro, possa perdere tutto ciò che ha costruito nel corso degli anni. Il suo perfezionismo, esemplificato dalla pulizia maniacale, da un’abitazione in cui nulla è fuori posto, da una conduzione ineccepibile, convive tuttavia con la sua fascinazione verso giovani promesse della musica: un “no” da parte loro significa la messa in predicato del potere di Lydia, nonché l’alterazione del suo equilibrio.
Quando il regno costruito da Tár inizia lentamente a frantumarsi, in seguito a una sua azione, è lecito che anche la sua professionalità venga intaccata? Perché Chopin è stato assolto, mentre Tár è destinata a essere cancellata? Ancora una volta, Field non propone risposte certe, come non restituisce una prospettiva sincera e intima di Lydia: il suo genio è destinato a essere intravisto come un groviglio indistinto di luci e ombre.
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