Al giorno d’oggi, volendo seguire le varie uscite appartenenti al genere horror, ci si ritrova in sala molto spesso – in alcuni casi anche più di una volta a settimana – il più delle volte a visionare un sequel, un prequel, uno spin-off o addirittura un ennesimo reboot di una delle saghe che hanno saputo farsi un nome. Scream con il quinto e sesto capitolo, Hellraiser con il suo reboot, Halloween con la nuova trilogia diretta da David Gordon Green, Evil Dead con il suo nuovo soft-reboot, Insidious che ritorna dopo anni con il suo capitolo conclusivo, il recentissimo The Nun II e, soltanto questo ottobre, sono in uscita un nuovo capitolo de L’Esorcista e di Saw. In alcuni casi si tratta di film riusciti, in altri invece molto meno, ma lo spettatore il più delle volte arriva in sala sapendo a grandi linee cosa aspettarsi.

Con non poca trepidazione si è attesa quindi l’uscita in Italia di Talk To Me, diretto dagli esordienti Danny e Michael Philippou – conosciuti su YouTube come RackaRacka – e distribuito dalla A24. Uscito ormai da un mese in America, il film è stato lodato da molti, che lo hanno descritto addirittura come “uno dei film horror migliori del decennio”. Ma sarà davvero così?

“Parla con me”

Nel classico borgo americano, tanto generico quanto iconico, vivono le loro vite i giovani protagonisti del film. Mia (Sophie Wilde), ancora impegnata a superare il trauma della morte della madre, per superare la solitudine decide di far visita all’amica Jade (Alexandra Jensen) che la convince a partecipare a una festa anche se non invitata. Notato l’astio iniziale da parte degli altri ragazzi nei suoi confronti, Mia decide di accettare di partecipare ad una seduta spiritica utilizzando una mano mummificata.

Preferiamo cercare di non addentrarci troppo nel prosieguo della trama, in quanto a farla da padrone sono soprattutto le immagini e la messa in scena piuttosto che un intreccio particolarmente ispirato. Forse proprio in questo il film pecca di più: le vicende di Mia e compagni riescono a un livello superficiale a mantenere l’attenzione dello spettatore, ma il mancato approfondimento – lacunoso per quanto riguarda la protagonista e completamente assente per la quasi totalità dei restanti personaggi – finisce per far scorrere il tutto forse troppo tranquillamente, senza permettere quindi di soffermarsi sull’orrore vero e proprio che ci si ritrova davanti. Unico vero spiraglio è Riley, fratellino di Jade che, a causa del volersi mostrare “grande” con gli amici della sorella e complice la poca maturità di quest’ultimi, finisce per andare in contro a delle conseguenze talmente pesanti che non possono fare a meno di smuovere qualcosa anche nello spettatore più freddo. A Riley fa da contraltare Cole, personaggio decisamente inutile inserito furbescamente al solo scopo di avere un aggancio per il già annunciato prequel.

Troppa carne al fuoco

Se la scelta di dare poche informazioni riguardo al “male” della pellicola si dimostra funzionale nel mantenere costante il mistero e la tensione, al tempo stesso si dimostra una lama a doppio taglio nel mostrare come forse i due giovani registi – anche sceneggiatori – non avessero probabilmente ben chiare del tutto le loro intenzioni, e abbiano finito per mettere in scena la classica seduta spiritica con l’elemento di possessione accompagnato al tempo stesso dai classici fantasmi persecutori nascosti negli angoli bui delle varie stanze. Elementi che spesso troviamo come singoli sono qui mescolati in un bizzarro mix che ne beneficia sicuramente nel ritmo ma che finisce per creare una confusione – sicuramente non ricercata – nello spettatore, che non riesce a comprendere bene il “funzionamento” dei mostri.

Se quindi sul lato narrativo il film mostra alcune lacune e una confusione di fondo, ciò che convince è, come accennato, la messa in scena. Il duo Philippou mostra infatti di avere fin da subito un ottimo occhio nel creare la giusta tensione, in grado anche di sfociare nel modo migliore e con i giusti tempi nell’orrore visivo vero e proprio, molte volte grazie ad alcune sequenze decisamente riuscite e dal fortissimo impatto visivo (su tutte la possessione del giovane Riley e la visione “infernale” che lo riguarda sul finale della pellicola) e dal gusto squisitamente artistico.

Anche sul lato della recitazione non si può far altro che elogiare il giovane cast composto da attori e attrici che, nonostante i pochi lavori alle spalle, si dimostrano qui tutti in ottima forma, soprattutto nelle sequenze più spaventose; allo stesso modo un ottimo lavoro è stato fatto anche dal direttore della fotografia Aaron McLisky, capace di rendere le sequenze notturne comprensibili senza nulla togliere però all’inquietudine e alla colonna sonora che mescola sapientemente tracce pop e rap dal gusto spensierato ad altre appositamente composte per il film – come la splendida Le Monde – dal gusto molto più dark e spaventoso.

Conclusioni

Arrivato anche da noi con più di un mese di ritardo, il tanto osannato Talk To Me si mostra tanto nella sua bellezza visiva quanto nella sua confusione narrativa. Se infatti la messa in scena dei fratelli Philippuo si accompagna a fotografia, recitazione e colonna sonora nel comporre davvero un ottimo quadro visivo e sensoriale capace di distanziarsi – almeno in parte – dal resto dei film horror presenti sul mercato, sul lato narrativo il film dimostra numerose lacune e ingenuità, tra personaggi poco approfonditi, la decisione di inserire vari elementi orrorifici senza una spiegazione chiara di fondo e un finale che non chiarisce i numerosi dubbi.

Venduto con più umiltà e un entusiasmo più ragionato, forse i difetti del film si sarebbero fatti sentire meno, ma visto l’enorme successo sia all’estero che qui in Italia – il film è schizzato fin da subito in cima al box office nei primi due giorni d’uscita – il futuro della pellicola si mostra decisamente roseo con un prequel e un sequel già in cantiere, lasciandoci con la speranza che con il procedere della saga si riesca a riassestare il tiro per ritrovarsi allora davvero davanti ad uno dei “migliori horror degli ultimi anni”. Ma per adesso ci siamo ancora lontani.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.