Chi non ama un buon thriller psicologico che lascia col fiato sospeso? Soprattutto se in grado di inquietare nel profondo, farci riflettere su tematiche complicate da affrontare e creare un’atmosfera di angoscia difficile da dimenticare. Sulla linea delle bellissime performance femminili nel genere thriller-horror di quest’anno, da Sydney Sweeney e Naomi Scott a Demi Moore e Margaret Qualley, oggi parliamo di Swallow di Carlo Mirabella-Davis, un film che dietro l’orrore di un disturbo alimentare nasconde qualcosa di molto più profondo.

Parliamo di picacismo

Hunter (Haley Bennett) è una giovane donna, sposata con un uomo dalla carriera promettente e con una famiglia decisamente pressante. La sua vita si svolge interamente nella splendida casa che condivide con il marito Richie (Austin Stowell), dagli spazi sconfinati e dalle vetrate meravigliose, mentre fa avanti e indietro dal letto alla cucina al salone e di nuovo a letto: è inutile che la donna lavori, i soldi che Richie porta a casa bastano e avanzano per mantenere la famiglia che i due avranno di lì a poco. Hunter, infatti, è incinta, e per la prima volta non si sente trattata con sufficienza dal marito e dai suoceri, troppo impegnati a parlare di lavoro per ascoltarla durante le lunghe e noiose cene eleganti. Ora questo bambino potrà dare ad Hunter ciò che non ha mai avuto, una vera famiglia, felice e amorevole. Eppure, non è così facile sostenere la pressione di una gravidanza, soprattutto per la nostra protagonista che sembra nascondere un disagio profondo, causato da un terribile segreto che porta con sé da sempre.

“Fa’ ogni giorno qualcosa di imprevedibile”, così recita la pagina del libro sulla maternità che Hunter riceve in dono dalla suocera Katherine; ma cosa significa fare qualcosa di imprevedibile? Per la nostra protagonista inizia tutto per caso, con piccoli oggetti lasciati in giro per la casa che la donna osserva intensamente, afferra e si porta alla bocca, per poi mandarli giù. Nel corso di pochi giorni, Hunter sviluppa una vera e propria ossessione per ingoiare piccoli oggetti non commestibili, anche piuttosto pericolosi come delle puntine: il suo è un disturbo che prende il nome di picacismo e può essere molto rischioso e complesso da affrontare. La tentazione è troppo forte, il desiderio di mantenere il controllo sulla propria vita, seppur attraverso una pratica terribile, divora Hunter dall’interno e ingerire quegli oggetti è una vera e propria dipendenza. Ovviamente il tutto si svolge nel segreto assoluto, come fosse un atto di ribellione adolescenziale nei confronti di genitori severi, pressanti, controllanti; in questo caso, quei genitori controllanti sono i suoceri di Hunter, emozionati più che mai dal futuro nipotino. Non ci vuole molto, però, prima che la nostra protagonista venga scoperta dal marito e costretta a trascorrere gli ultimi sette mesi della gravidanza in un istituto psichiatrico. Impensabile per Richie e i suoi genitori l’idea di avere accanto una persona che loro reputano malata, per di più poco tempo prima di partorire un erede per l’impero familiare. L’immagine è tutto ciò che conta, Hunter sta facendo fatica a reggere le aspettative del mondo di cui ora fa parte e questo è inammissibile.

La “trappola” delle aspettative: sii una brava moglie e una buona madre

Ciò che rende Swallow un thriller psicologico profondamente angosciante non è tanto vedere la protagonista ingerire in modo morboso oggetti appuntiti, e neanche il fatto che quegli stessi oggetti vengano estratti dal suo stomaco e depositati come antichi artefatti su una superficie sterile da un chirurgo con lunghe pinze in mano. Il senso di angoscia e pressione psicologica si avverte nelle scene più banali, quelle in cui moglie e marito sono a cena insieme, seduti alle parti opposte del tavolo come due sovrani medievali in procinto di avvelenare l’uno il calice dell’altra; si avverte nelle lunghe sequenze in cui Hunter si ritrova in silenzio ad ascoltare le conversazioni di marito e suoceri, che sembrano deliberatamente ignorarla quando cerca di parlare, di inserirsi invano nel discorso. La sufficienza con cui la giovane donna viene trattata dalle persone che le sono accanto, le uniche che può considerare una famiglia, è devastante, così come la costante pressione delle aspettative che vengono caricate sulle sue spalle a partire da quando quel test di gravidanza risulta positivo. Da quel momento in poi, Hunter si sente schiacciata dalle prospettive altrui sul suo ruolo di madre e moglie perfetta, tanto da non riuscire ad avere controllo sulla sua stessa vita e sul suo corpo.

Ed ecco che questo profondo disagio si mostra attraverso il suo picacismo: l’unico modo che ha Hunter di riacquistare un minimo di controllo è fare qualcosa di malato, che potrebbe potenzialmente fare del male al suo corpo, ma a lei non importa delle conseguenze perché vuole soltanto tornare a essere padrona della propria vita. La gravidanza diventa man mano una trappola mortale, una fonte di disagio continuo, ancor di più quando lo spettatore viene a scoprire il segreto che la donna porta con sé dalla nascita, letteralmente: evitiamo di fare spoiler in questa sede, ma si tratta di una vicenda terrificante legata alla gravidanza stessa come corpo tenuto in ostaggio. Arrivati a un certo punto del film, non spaventa più così tanto l’idea che Hunter scelga di ingoiare delle puntine da disegno.

Renata Capanna,
Redattrice.