Il sessantunesimo Classico Disney, Strange World, diretto da Don Hall coadiuvato da Qui Nguyen anche alla sceneggiatura, è uscito nei cinema quasi di soppiatto. Sono lontanissimi i tempi delle campagne pubblicitarie martellanti, dei gadget ovunque prima dell’uscita in sala del film stesso (anche se con Lightyear era stato fatto un tentativo vecchio stile). E, infatti, per ora il botteghino non sembra cantare vittoria, chissà se come Encanto diventerà virale dopo l’uscita su Disney Plus o se come per Raya e l’Ultimo Drago o gli ultimi film Pixar verrà velocemente dimenticato. In ogni caso, Strange World – Un Mondo Misterioso, curioso racconto di avventura e di esplorazioni di mondi fantastici, ispirato al viaggio al centro della terra e ai fumetti di avventura anni ‘30 (con cui si apre il film, al contrario del solito libro di fiabe) è nelle sale.
Jaeger Clade (Dennis Quaid, Francesco Pannofino in italiano) è il più grande esploratore del mondo di Avalonia, spesso accompagnato nelle sue imprese da suo figlio Searcher (Jake Gyllenhaal, Marco Bocci), più interessato alla natura delle piante che all’esplorazione. Durante una spedizione sulle montagne, il cui fine sarebbe quello di scoprire segreti utili al progresso del loro popolo, le loro strade si dividono: il figlio sceglie di interrompere il viaggio riportando indietro una bizzarra pianta luminosa, mentre il padre decide di proseguire, senza mai fare ritorno. Passano 25 anni e la pianta scoperta da Searcher, denominata Pando, è diventata la fonte di energia principale di Avalonia. Searcher è divenuto un eroe nazionale al pari del padre, e si dedica alla coltivazione del Pando insieme a sua moglie e suo figlio Ethan. Tuttavia, saranno costretti a partire per una pericolosa spedizione nel sottosuolo, dritti alla radice del Pando per scoprire le ragioni di una possibile malattia della pianta e proteggerla. Per farlo dovranno arrivare in un territorio inesplorato e misterioso.
Non è esatto dire che l’avventura e la fantascienza siano territori inesplorati in casa Disney, nei primi anni del 2000 infatti con Atlantis e Il Pianeta del Tesoro abbiamo avuto due racconti dal sapore steampunk e dal tono più adulto, ispirati ai romanzi di avventura ottocenteschi di Verne e Stevenson. Purtroppo qui siamo lontani da quelle atmosfere nonostante le similitudini non manchino (l’esplorazione dell’abisso, i velivoli, il mito del grande esploratore, l’assenza di una figura paterna). Tuttavia, il film si adagia su atmosfere che somigliano più a Ralph Spaccatutto e Big Hero 6 (non a caso abbiamo sempre Don Hall alla regia), e non è esattamente una scelta coraggiosa.
Torna prepotentemente il conflitto generazionale, tema dominante nella Disney degli ultimi 10 anni, stavolta triplice: abbiamo il padre-nonno Jaeger, esploratore indomito, il figlio-padre Searcher tranquillo agricoltore e il figlio-nipote Ethan, adolescente nerd in cerca della sua strada. I loro dialoghi sono abbastanza scontati e non sufficientemente interessanti, senza contare che, in casa Pixar, Enrico Casarosa con il suo cortometraggio La Luna nel 2011 aveva gestito decisamente meglio la tematica, inoltre, Strange World gli ha rubato anche qualche soluzione visiva.
E proprio sul comparto artistico il film si dimostra eccessivamente derivativo: passi il font del titolo alla Indiana Jones, ma i mondi inesplorati ricordano davvero troppo i giochi Hero’s Duty e Sugar Rush di Ralph Spaccatutto, il character design è ancora appiattito al canone settato da Rapunzel e ormai dominante anche in Pixar. Searcher è uguale al padre di Riley in Inside Out, Ethan e i suoi amici sembrano la fusione tra i Big Hero 6 e la famiglia Madrigal, le spalle comiche (il cane Legend e la stramba creatura Splat) ricordano troppo personaggi già visti in passato.
La chiave di volta del film, con la rivelazione sulla natura reale del mondo, è effettivamente meravigliosa e anche la lezione ecologista e pacifista non è invasiva né fastidiosa. Ma sembra di trovarsi di fronte ad una major totalmente disinteressata a differenziare i propri prodotti (termine certamente più adatto di opere). L’omologazione creativa e l’assoluto controllo con le briglie salde delle buone e nuove idee, con le stesse forme tondeggianti, gli stessi colori, lo stesso umorismo con più o meno dosi di family friendly rendono un film potenzialmente interessante come Strange World l’ennesima versione del “cartone base post 2010” a cui effettivamente non appartengono solo Zootropolis e Raya e L’Ultimo Drago nei Walt Disney Animation Studios degli ultimi anni. Il botteghino non strariperà, su Disney Plus lo guarderanno sicuramente meno persone di quante hanno visto Encanto, e sicuramente Strange World non è una banderuola senza autonomia artistica come Lightyear. Con la speranza di vedere il castello Disney splendere nell’anno del suo centenario, attendiamo fiduciosi il futuro.
Questo articolo è stato scritto da:
Scrivi un commento