Quello di Dave Filoni è un nome che, nel bene e nel male, è sulla bocca di tutti i fan di Star Wars: co-autore di tutte le serie d’animazione ambientate nella galassia lontana lontana (The Clone Wars, Rebels e Resistance), nonché produttore esecutivo, sceneggiatore e regista per The Mandalorian, negli ultimi anni il suo lavoro nell’universo creato da George Lucas si è concentrato sulle serie televisive in cui ha creato alcuni dei personaggi più amati del franchise.

The Bad Batch è il proseguimento ideale di The Clone Wars, la cui eccellente stagione finale uscita nel 2020 stabiliva le basi per questo spin-off con l’introduzione dell’omonima Bad Batch, una squadra altamente specializzata di quei cloni soldato introdotti in L’attacco dei Cloni. La serie prende le mosse dall’Ordine 66 visto in conclusione della trilogia prequel: i cavalieri Jedi sono stati eliminati, Palpatine è diventato imperatore e la Repubblica sta venendo smantellata in favore dell’Impero Galattico. La Bad Batch, finita la Guerra dei Cloni, deve decidere per quale causa combattere e affrontare il tradimento di uno dei loro.

Sul lato estetico, è tra i punti più alti mai raggiunti in una serie d’animazione occidentale. L’ultima stagione di The Clone Wars aveva già lasciato a bocca aperta per l’altissima qualità della CGI e delle animazioni, ma The Bad Batch va oltre: gli establishing shots che introducono i pianeti raggiungono livelli di dettaglio che non sfigurerebbero affatto in uno dei film Pixar degli ultimi anni. Questo aspetto non è secondario, men che meno in un franchise che fa dell’impatto visivo elemento imprescindibile del proprio world-building. Anche in questo la serie non delude: ogni pianeta presenta uno stile unico che lo rende interessante e diverso dagli altri, ed è ricco di personaggi secondari e specie aliene uniche. L’atmosfera avventurosa di Star Wars, insomma, si respira appieno.

Ciò che lascia a desiderare sono i personaggi e le storie raccontate in questa stagione. Non perché la serie sia carente in caratterizzazioni o nello sviluppo della trama, ma perché non si prende nemmeno dei rischi nel portare avanti questa nuova ramificazione della saga.

È una difficoltà insita nell’introdurre una nuova serie e nuovi protagonisti, e nemmeno The Clone Wars e Rebels sono riusciti a evitarla nelle loro prime stagioni, ma in The Bad Batch risulta particolarmente fastidiosa. Il potenziale di questo capitolo della Saga viene sfruttato solo in alcuni episodi, non a caso i migliori -nello specifico in apertura e in chiusura di stagione-: solo in questi viene esplorata appieno l’epoca di transizione, idealmente dall’epica guerriera dei prequel alle influenze western di Una Nuova Speranza, e viene pure accennata l’origine degli iconici stormtroopers visti per la prima volta nel suddetto film. Per il resto, invece, la serie si accontenta di riproporre situazioni e personaggi talmente archetipici da diventare stereotipati, a partire dalla squadra di protagonisti. 

Non è una novità né, come si diceva, una colpa esclusiva di The Bad Batch: Star Wars, da sempre è una saga che fa delle ripetizioni mitiche uno dei suoi aspetti fondativi. Il famigerato “È come una poesia, con le sue rime” detto da George Lucas, la concezione dei film (e delle serie) come un grande poema epico fatto di rime e ricorsi della storia, è ciò che rende affascinante questo universo fantasy travestito da fantascienza. Da parte degli autori di Star Wars, tuttavia, questo mandato diventa spesso e volentieri una cattiva abitudine che fa scadere il fascino dell’archetipo nell’assenza di originalità, gli omaggi alla Saga nel fanservice fine a sé stesso. E purtroppo The Bad Batch, con tutti i suoi innegabili pregi, non fa eccezione in questo.

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Valentino Feltrin, Redattore