Dopo ben 7 capitoli, la saga dell’enigmista sembrava aver raggiunto la sua fine nel 2010 con Saw 3D: Il capitolo finale, titolo abbastanza eloquente già di suo ma non così veritiero, vista l’uscita di una nuova pellicola nel 2017 arrivata da noi con il titolo Saw: Legacy  (in originale Jigsaw) che però non riuscì ad incontrare il successo né da parte della critica né dal pubblico. La fine, per davvero stavolta, per questo franchise nato nel 2004 per mano di James Wan sembrava essere arrivata.

Ma poi il 5 Febbraio 2020, come un fulmine a ciel sereno, venne pubblicato il trailer di Spiral –L’eredità di Saw. Titolo che metteva subito in chiaro le cose: Saw, come serie, non era ancora morta. Alla regia è tornato Darren Lynn Bouseman, già regista del secondo, terzo e quarto capitolo, mentre l’idea alla base del film è partita da Chris Rock. Tra gli attori c’è Samuel L. Jackson e dai trailer il film sembra voler puntare tutto su quell’atmosfera investigativa che i capitoli precedenti accennavano soltanto. Tutto questo lasciava presagire un ritorno in grande stile, ma purtroppo anche questa volta è andato tutto storto.

TROPPO SANGUE, PER DAVVERO

Per poter spiegare i problemi di Spiral, bisogna tornare indietro di 17 anni, fino al 2004, ed in particolare all’uscita nei cinema di Saw – L’Enigmista  diretto dall’allora esordiente James Wan e interrogarsi sul perché fu così tanto apprezzato. Per la prima volta Wan utilizzava la formula del plot-twist finale (che sarebbe poi diventata marchio di fabbrica della maggior parte dei suoi prodotti e di tutta la saga di Jigsaw) e lo faceva all’interno di un film che raccontava di due uomini rapiti e rinchiusi all’interno di un vecchio bagno costretti a sfidare la morte per sopravvivere, contemporaneamente ad un’indagine da parte di alcuni detective sul serial killer chiamato “L’enigmista”, che rapisce e rinchiude le sue vittime all’interno di trappole mortali nelle quali devono lottare per sopravvivere. Il tutto con un budget estremamente ridotto, che obbligò a dover rinunciare a effetti horror troppo eccessivi, mostrando così il minimo indispensabile, riuscendo però a creare terrore soprattutto con l’atmosfera e l’effetto “vedo-non vedo”.

Tutto questo è stato lentamente trasformato dai capitoli successivi nella saga dello splatter e del gore, con trappole sempre più assurde e violente, con film il cui focus pareva essere solo mostrare più sangue, membra e budella possibile. Purtroppo anche quest’ultima iterazione della saga sembra aver seguito lo schema dei predecessori e lo si capisce fin dai primi minuti, in cui viene messa in scena una sequenza con una trappola il cui unico scopo è quello di riempire di sangue lo schermo.

Così purtroppo si continua per tutte le sequenze horror della pellicola. Non si cerca di creare tensione, non si cerca di mettere in scena gli avvenimenti con una certa accortezza, l’obiettivo è solo e soltanto il gore, che però risulta eccessivo e stucchevole già alla seconda iterazione all’interno del film. Senza contare che queste trappole risultano da un lato assurde, tanto da far perdere allo spettatore la paura del “queste trappole potrebbe averle create chiunque”, dall’altro troppo complicate, rendendo praticamente impossibile per le vittime scappare e tradendo così la filosofia del Jigsaw dei capitoli precedenti. 

HORROR COMEDY MA SBAGLIATA

Passando alla parte più investigativa, il film centra l’obiettivo in pieno per i primi 30 minuti. Si presentano infatti una sequenza dopo l’altra di scene del crimine, indagini, interrogatori e dialoghi da poliziesco duro e puro. Il detective Zeke Banks, interpretato da Chris Rock e odiato dall’intero distretto per aver testimoniato contro un collega corrotto, riceve infatti una chiavetta USB con un messaggio che lo porta ad iniziare un’indagine su un killer che prende di mira poliziotti corrotti. Il tema della corruzione della polizia è centrale nel racconto, sia per il protagonista che non può fidarsi di nessun collega al di fuori della nuova recluta William (Max Minghella), sia per l’assassino e su questo il film riesce a esprimere adeguatamente il tema e a portare alle giuste riflessioni anche sugli abusi da parte della polizia di cui sentiamo parlare tutti i giorni. 

Come il Body Cam  di Malik Vitthal, uscito nel 2020, la componente di critica non viene però accompagnata da una scrittura interessante dei personaggi, che risultano troppo stereotipati ed anonimi, e nemmeno da una componente horror degna di nota, portando così il film nella seconda parte a risultare estremamente prevedibile ed anche stupido in alcuni frangenti.

Altro problema del film sono gli attori. Escluso Samuel L. Jackson, che interpreta comunque un personaggio insipido e ai limiti dell’inutilità ma riesce a mantenere il suo stile recitativo  inconfondibile, dai personaggi meno importanti fino al protagonista la situazione purtroppo non è delle più rosee, soprattutto per quanto riguarda Chris Rock. L’intenzione di aver un buon protagonista c’è, ma la recitazione lo conduce inevitabilmente ad essere più una parodia di se stesso, con un tono costantemente comico che l’attore non riesce a lasciare da parte nemmeno per questa pellicola. (La situazione peggiora ulteriormente con il doppiaggio italiano, completamente anticlimatico e capace di rendere comiche anche le situazioni che dovrebbero essere spaventose). Nota di merito invece per la colonna sonora, soprattutto per le tracce create appositamente per il film dal rapper 21 Savage.

CONCLUSIONI

Ancora una volta la saga di Saw prova a risorgere ed ancora una volta cade rovinosamente. Una regia ed una sceneggiatura mediocri, una recitazione sbagliata, la scelta di creare l’orrore soltanto con le trappole ma senza atmosfera, tutti elementi che sembrano essersi appiccicati a questa saga e che sembrano non volersi staccare. Unici elementi positivi del film sono la critica agli abusi della polizia e la colonna sonora particolarmente apprezzabile. Dispiace molto dire queste parole, ma forse questa volta sarà davvero la fine.

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Mattia Bianconi, Redattore