Candidato a sei premi Oscar e vincitore per le categorie di miglior montaggio e miglior sonoro, Sound of Metal è il film d’esordio alla regia di Darius Marder (escluso il documentario Loot del 2008).
Trailer
Già sceneggiatore per Come un tuono (Derek Cianfrance, 2012), Marder torna a collaborare con Cianfrance, che cura il soggetto del film, portando a termine un progetto in cantiere già da 13 anni. Dopo oltre un decennio dunque il regista consegna al pubblico la sua opera prima, che racconta, con precisione disarmante e delicata attenzione al dettaglio, la storia di Ruben Stone, giovane batterista ex tossico-dipendente che si ritrova a fare i conti con l’improvvisa perdita dell’udito. La pellicola, presentata in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2019, vede nei panni del protagonista un meraviglioso Riz Ahmed, che non per niente è stato candidato all’Oscar come miglior attore protagonista. Accanto a lui Olivia Cooke e numerosi attori non professionisti provenienti dalla comunità sorda. A spiccare tra le altre è la performance di Paul Raci. Attore fino ad oggi poco noto al grande pubblico, Raci è figlio di genitori sordi, e riesce a portare sullo schermo un’interpretazione convincente e sincera che è valsa – anche a lui – una nomination agli Oscar di quest’anno.
Paul Raci interpreta Joe, uno dei punti di forza di questa pellicola
LA TRAMA DEL FILM
Lo sviluppo della trama è tutto sommato semplice: Ruben e Lou, compagni sul palco e nella vita, vivono di musica e per la musica. I due formano insieme il gruppo Blackgammon, suonano musica metal e vivono in un van. La loro vita da musicisti nomadi viene stravolta quando, nel bel mezzo di un tour, Ruben perde di colpo quasi l’80% del suo udito. In mancanza di denaro per delle costose protesi acustiche, è costretto ad accettare l’aiuto di Joe, un veterano ed ex alcolista rimasto sordo in guerra, il quale vive in una comunità di sordi e gestisce una casa-rifugio per sordomuti. Per il protagonista inizia così un percorso che dovrebbe essere non solo di accettazione, ma anche di nuova consapevolezza. Lontano dalla sua vita lavorativa e sentimentale, Ruben si inserisce, non senza difficoltà, nella comunità. Studia il linguaggio dei segni e prova a reimparare la percezione di un mondo privo di suoni ma ricco di vibrazioni. La prospettiva però di essere inserito come elemento fisso nella comunità fa tornare a galla il prepotente e totale rifiuto per la sordità, la quale inevitabilmente lo imprigiona lontano dalla sua vita, mentre tutto, fuori dal suo mondo ovattato, evolve e va avanti per necessità di sopravvivenza.
UN VOCABOLARIO DI SUONI E SGUARDI
La forza del film, inutile dirlo, sta nell’enorme lavoro di studio e realizzazione del sonoro, che ci porta ad esplorare una condizione di isolamento che da un anno a questa parte può sembrare ˗ in modo certamente diverso ˗ tristemente familiare.
A detta di Nicolas Becker (sound editor della pellicola insieme a Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés e Philip Bladh) la sfida non era quella di realizzare un “bel suono”, quanto più quella di alterare in modo convincente la percezione dei normali suoni a cui il pubblico è abituato. Nel film Ruben è costretto ad acquisire una nuova percezione non solo di ciò che lo circonda, ma anche di sé stesso. Questo è ben trasmesso fin dalle primissime scene: lo spettatore, inizialmente introdotto al mondo metal di suoni alterati e voci distorte, si scontra d’improvviso, così come il protagonista, con una realtà silenziosa, fatta di rumori e conversazioni ovattate e lontane, a volte quasi da intuire. Sullo schermo si alternano momenti sonori, in cui il pubblico vive dall’esterno la frustrazione e la rabbia impotente di Ruben, e momenti di totale immedesimazione e immersione nella sua nuova percezione della realtà. In questo modo l’enorme vocabolario di suoni fini e sottili catturati grazie a speciali microfoni (lo schiocco di una mascella, una porta che cigola, l’incredibile varietà di rumori di una tavolata riunita a pranzo …) si affianca a un silenzio frusciante quando la camera ci porta dietro agli occhi del protagonista, dentro al suo isolamento.
E sono proprio gli occhi ad essere tra i grandi protagonisti di questo film. Quasi ad indicare il bisogno estremo di acuire gli altri sensi per sopperire alla mancanza uditiva, sono molte le scene in cui gli occhi dei personaggi parlano più e meglio di loro. Non solo percepiamo, chiare e tangibili nello sguardo liquido di Ruben, tutta la sua rabbia, la sua frustrazione e la sua paura, ma leggiamo con facilità il senso di disperata impotenza negli occhi di Lou, la profonda dignità e consapevolezza in quelli di Joe, la dolcezza sui visi dei bambini e degli insegnati della comunità.
Ed è proprio nello sguardo silenzioso di Riz Ahmed che, con il progredire della storia, possiamo leggere una nuova consapevolezza. Il protagonista arriva a chiudere un percorso di crescita personale e si rende conto, scontrandosi apertamente con la realtà, di doverla accettare per continuare a vivere in modo certamente differente, ma non per questo meno dignitoso.
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