Anche per gli standard da biopic, Saturday Night di Jason Reitman è uno di quei prodotti la cui leggibilità, per ovvie ragioni, dipende in misura pressoché esclusiva dal livello di cultura televisiva del singolo. Da noi il Saturday Night Live è arrivato perlopiù in maniera indiretta, tramite le carriere cinematografiche di alcuni dei suoi protagonisti più noti.
Negli Stati Uniti è una colonna portante dell’immaginario collettivo, privilegiato punto di vista del pubblico americano liberal che ha fatto da rampa di lancio per molte carriere di comici – John Belushi, Bill Murray, Eddie Murphy, Adam Sandler, Amy Poehler fra i tanti – e fatto naufragare quella di altri – un’edizione con Robert Downey Jr. particolarmente famigerata in questo senso -; tanto premiato quanto criticato.
La grande scommessa
Ultime ore dell’11 ottobre 1975. Le strade di Manhattan sono intasate dal traffico di fronte a Rockfeller Plaza, sede degli NBC Studios. Il pubblico americano si aspetta una serata come le altre o, in alternativa, una replica del Tonight Show con Jimmy Carson per riempire la serata, ma il giovanissimo produttore Lorne Michaels e l’executive Dick Ebersol hanno tra le mani una potenziale bomba: uno show che neppure Michaels è in grado di descrivere, una sequenza di momenti live nello spazio di un’ora e mezza, sulla sola base di una scaletta di post-it che basta per tre ore di show. Protagonista, un eterogeneo cast di comici ventenni insicuri e casinisti, che trascorrono la serata interrogandosi sul proprio ruolo nello show, intrattenendosi con sostanze più o meno illecite e litigando con il sistema della censura. L’ora di andare in onda si avvicina, e niente sembra andare per il verso giusto.
Saturday Night è raccontato in tempo quasi reale, aggiungendo una dimensione da pseudo thriller alla cronaca dell’ora e mezza precedente alla messa in onda dello show. Un piccolo miracolo della televisione, insiste a più riprese la sceneggiatura di Reitman e Gil Kanan, e non solo per gli imprevisti – set in fiamme, impianto luci che crolla, licenziamenti e aggressioni – in vista del momento fatidico della diretta. Ma la riuscita dello show va oltre le carriere dei giovanissimi performer e del creatore: è in gioco anche il confronto tra concezioni differenti del medium. Tra i protagonisti vecchio stampo di una televisione al tramonto e una nuova concezione del mezzo, anarchica espressione del milieu mediatico-culturale dell’epoca che, in tutt’altro medium audiovisivo, si respirava nel pieno della New Hollywood. Uno sforzo collettivo che richiede la stessa dose di follia necessaria per portare a termine un film.
Live from New York
Una lunga notte di un’ora e mezza che si concede pochi momenti di respiro, incalzata dai piani sequenza negli affollati corridoi del backstage, dal ritmo vorticoso della colonna sonora di Jon Baptiste (anche interprete di Billy Preston), qui e lì percorsa da ombre di nostalgia per questo fenomeno inatteso e di malinconia per alcuni dei suoi personaggi, il cui destino è ben noto. Talmente affollato e frenetico, questo tour nel backstage della NBC, che non rimane molto tempo per approfondire altro.
Si potrebbe insinuare che, nonostante l’insistenza di Saturday Night il film nel sostenere che Saturday Night il programma non fosse solo un club di maschietti bellicosi, alle protagoniste femminili sia riservato un ruolo poco più che da placeholder. Ma tutti i personaggi vivono esclusivamente dei loro tic distintivi, versioni solo leggermente esagerate delle persone reali (John Belushi il talento volatile; Chevy Chase lo showman egoriferito; Milton Berle la star televisiva dal pene sovradimensionato) talvolta efficaci sul piano comico, un po’ meno per una conoscenza che vada oltre quella pregressa dei loro referenti reali. Questo nonostante gli sforzi del cast di giovanissimi in ascesa (Gabriel LaBelle, Rachel Sennott, Ella Hunt) accanto a volti noti, tutti dediti a cavare il più possibile da ruoli di carta. L’incredibile successo dello show è merito di un lavoro collettivo che valorizza le eccentricità individuali e lo sforzo del duo di sceneggiatori punta soprattutto a far risaltare il demiurgo Lorne Michaels. Figura certo fondamentale per la storia del medium, ma non esattamente il personaggio più esplosivo.
Competente commedia agrodolce, il film risulta essere principalmente un’operazione nostalgia per una stagione irripetibile nella storia dello showbiz americano, con tutti i limiti del caso. Se l’identità di Saturday Night è così strettamente legata all’originale che non aspira a molto altro se non a creare un’ora e quaranta di intrattenimento per omaggiarne i talenti, potrebbe perlomeno invogliare qualcuno a recuperare su Youtube clip e vecchi episodi dello show. Live from New York, it’s Saturday Night once again.
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