Dopo gli inaspettati successi di Troppo cattivi e de Il gatto con gli stivali 2-L’ultimo desiderio, e vista l’attuale situazione traballante in casa Disney-Pixar, l’interesse verso il reparto animazione della Dreamworks è tornato a essere alto. Nell’ultimo decennio, infatti, la casa di produzione di classici quali How to train your dragon e Kung fu panda non ha rilasciato grandi perle, secondo la percezione di pubblico e critica.

La pressione attorno a questo ultimo film era dunque molto elevata, anche se non supportata da una campagna marketing particolarmente brillante. Ruby Gillman, la ragazza coi tentacoli avrà confermato la traiettoria in salita della casa di produzione in perenne disputa con la Disney o, al contrario, dimostrato che gli ultimi due film siano stati delle felici eccezioni?

Teenage Mutant Kraken

Ruby Gillman è una timida matematleta, il cui più grande problema è quello di invitare il ragazzo che le piace al ballo della scuola. Insomma, una normale teenager. O così, almeno, vorrebbe.

La quindicenne, infatti, fa parte di una famiglia di kraken che si è ritirata a vita privata sulla terraferma, dove vive nascondendo la sua natura. La situazione cambia improvvisamente quando Ruby entra per la prima volta in acqua, trasformandosi con somma sorpresa in kraken gigante. Ciò porta la ragazza a fare scoperte sconcertanti sulla propria famiglia e a confrontarsi con la sua identità, fino ad allora sopita, di creatura marina. Ad accompagnarla in questo processo ci sarà Chelsea, la “nuova arrivata” a scuola, che si rivela essere una sirena.

Ruby Gillman si inserisce evidentemente all’interno di un filone abbastanza recente dell’animazione, dedicato alla pre-adolescenza e alla fine dell’infanzia. D’altronde, il pubblico a cui il film si rivolge, coi riferimenti al mondo dei social e le canzoni scelte per la colonna sonora (a volte inadatte alle situazioni), è evidentemente quello della generazione smartphone. Come in Red, la trasformazione di Ruby in kraken gigante è metafora delle mestruazioni e del cambiamento corporeo che ne consegue (come se non bastassero la reazione di Ruby e le parole del padre attorno al fenomeno, interviene anche lo zio a spiegare che solo le donne subiscono questo cambiamento). Allo stesso tempo, come avviene in Luca  e, in realtà, già dai tempi de La sirenetta (la favola), l’iconografia del mostro marino è usata come simbolo del generico ‘diverso’ e delle minoranze

Ruby è infatti costretta a mascherare a chiunque, anche ai suoi amici, la sua particolarità, fatto che tuttavia la porta a non sfruttare appieno le sue potenzialità. Risulta rinfrescante per il genere che, dopo un primo momento di sconcerto, il desiderio di Ruby non sia quello di “elevarsi” nella gerarchia sociale scolastica, ma quello di poter abbracciare la sua identità di “altra”. Ugualmente, è interessante che a sostenerla in questo percorso sia non solo sua nonna, regina di una società dichiaratamente e fieramente matriarcale, ma proprio una “diversa” insospettabile quale è Chelsea (anche se ciò viene in parte indebolito nel finale). Infine, è certamente degno di nota che si sia deciso di puntare su un personaggio femminile non corrispondente ai classici, stereotipati canoni di bellezza, né che alla fine vi sia una trasformazione che la renda altro rispetto a ciò che è: la crescita di Ruby non la rende diversa da sé, ma solo una versione di sé che ha liberato a pieno tutto il proprio potenziale inespresso.

A fronte, tuttavia, di una prima parte introduttiva ben costruita, capace di catturare l’attenzione e la curiosità dello spettatore e di presentare molto bene i personaggi e i conflitti interpersonali, il film non riesce a mantenere un uguale momentum nella seconda parte, nella quale l’azione ingrana. Al secondo e terzo atto non viene concesso altrettanto tempo per respirare, con scene frettolose, creazione e distruzione di rapporti in tempi strettissimi (l’intero film è ambientato nel corso di cinque giorni), un finale decisamente prevedibile e dotato di poca tensione. 

Rispetto ai precedenti due film, inoltre, che avevano sperimentato utilizzando lo stile di animazione presentato in Spider Man-Into the Spiderverse, questo risulta decisamente un passo indietro in fatto di stile visivo, con un look generico e senza grandi picchi qualitativi.

La mancanza del “tocco Dreamworks”

L’approccio e la missione trentennale della Dreamworks, nata con l’intento di fungere da contraltare alla Disney (pensiamo solo che il loro primo lavoro, Z la formica, era probabilmente una risposta ad A bug’s life, distribuito dalla ‘House of Mouse’), si traduce sin dalle origini nella ripresa degli elementi dei loro film presentati, tuttavia, con una sorta di twist che li reinventa capovolgendo totalmente il significato. Shrek è a ragione l’esempio più famoso di questa operazione: il protagonista non è un eroe tradizionale, ma quello che solitamente sarebbe il mostro da sconfiggere, ed è  lui che alla fine la principessa, estremamente autonoma, sposa. Nel secondo film, viene addirittura sfatato il mito del “per sempre felici e contenti”, mostrando ciò che solitamente nei film Disney viene omesso: tutte le difficoltà che vengono dopo il matrimonio.

Nel caso di Ruby Gillman, l’evidente provocazione è stata quella di mostrare, sin dai primi trailer (e qui seguono spoiler per chi non li avesse visti), le sirene come creature malvagie e il personaggio di Chelsea come cattiva. Ciò, unito al design evidentemente rimandante alla Ariel del film animato e all’uscita in concomitanza col live action de La sirenetta, lasciava immaginare un film che fungesse da alternativa e magari critica a quel tipo di prodotto. Al contrario, Ruby Gillman si limita in realtà a riprendere molti degli elementi presenti nei prodotti Disney recenti (protagonista adolescente e storia della sua crescita, villain “a sorpresa”, inserimento “defilato” di un personaggio secondario queer) senza, però, utilizzarli per trarne qualcosa di originale o commentarli. La provocazione, dunque, è meramente ciò: provocazione.

Ciò che ci resta è un prodotto godibile, dotato di una prima parte dai tempi giusti, con spunti e trama non originali (specialmente nel panorama odierno) ma ben sviluppati, che soffre tuttavia di una seconda parte eccessivamente compressa ed una generale mancanza di voglia di osare. Qualcosa su cui, in questo momento, la Dreamworks dovrebbe davvero far leva se desidera sfruttare la “debolezza” della propria rivale.

icona
Silvia Strambi,
Redattrice.