“Eravi appresso un fivo selvatico, detto poi Ruminale, […]perché questi due pargoletti vi furono allattati: perché gli antichi, volendo significar mammella, dicavano Ruma. […] In questo luogo giacendo (come scrivono gli storici) venne per allatargli la lupa , e ‘l picchio ad aiutarli nutrire e guardare; animali sacri consacrati a Marte.”
Plutarco, Vita di Romolo
La storia di Romolo e Remo e di come dalla loro faida ne sia uscito vincitore il primo vero re di Roma è qualcosa che ogni italiano, senza distinzioni tra Nord e Sud o tra una generazione ed un’altra, sente propria. Un patrimonio enorme che, se gestito nella maniera giusta, ha tutte gli elementi necessari per creare un racconto epico senza pari. A differenza però dei “fratelloni” delle storie di Omero come Achille o Ulisse che contano numerosi adattamenti anche al di fuori della nostra penisola, i due fratelli allattati dalla Lupa hanno sapientemente atteso fino all’arrivo di una persona in particolare che potesse portare in risalto le loro gesta: Matteo Rovere. Nel 2019 infatti il regista romano classe ’82 porta la nascita di Roma sul grande schermo con Il Primo Re e lo fa affidando ad uno splendido Alessandro Borghi il ruolo di Remo.
Non accontentandosi Rovere decise di raccontare un’altra volta la storia spostandosi però sui lidi della serialità televisiva. Fattosi forte della sua Groenlandia (la casa di produzione creata assieme all’amico e collega Sydney Sibilla) e collaborando con Sky nasce quindi Romulus, il cui obiettivo era quello di raccontare sostanzialmente la stessa storia ma in maniera più approfondita, più dettagliata, più avvincente, in una parola: migliore. Il 6 novembre 2020 approdano su Sky i primi due episodi arrivando con cadenza settimanale fino al 4 dicembre con l’attesissimo finale di stagione, in cui finalmente i “fratelli di latte” Wiros e Yemos consacravano alla loro dea sul colle Palatino la piccola ma potente città di Roma. Il grande successo che la serie ottiene in Italia sia di critica che di pubblico porta la serie ad essere rinnovata per una seconda attesissima stagione conclusasi lo scorso 11 novembre ed è proprio il caso di dirlo: Roma ha vinto ancora!
ROMA CAPUT SKY
Dove la prima stagione riadattava il mito dei due fratelli allattati dalla Lupa nella storia di un re designato, ingannato e caduto in disgrazia che trova un fratello in un misterioso e combattivo schiavo senza passato, qui il punto di partenza è la leggendaria vicenda del Ratto delle Sabine. Wiros e Yemos hanno reso in breve tempo Roma una delle città più forti del territorio, attirando le attenzioni di Titos, re della città sabina Cures, il quale li invita per fondare un’alleanza tra le due città che finisce però per costare la vita di Deftri e per causare un violento scontro tra i due popoli che si conclude con il rapimento delle sacerdotesse di Titos per garantirsi una ritirata sicura. Nonostante la differenza con il racconto originale – in cui i romani ne uscivano decisamente più “sporchi” – la conseguenza rimane la stessa: la guerra per Roma.
Come una seconda stagione (o un secondo capitolo in generale) dovrebbe sempre fare, qui tutto viene portato all’ennesima potenza. Forte di personaggi il cui background è già conosciuto, la serie si muove su sentieri fatti di polvere e sangue per introdurre anche volti nuovi, come il sopracitato Titos, inneggiato come figlio del Dio Cures e re spietato i cui traumi di un’infanzia “predestinata” finiscono per farlo vacillare, o Ersilia, capo delle Sabine che sviluppa uno strano rapporto con Wiros arrivando a dubitare degli Dei stessi. Tutto questo avviene mantenendo sempre l’attenzione viva sui veri protagonisti, il cui procedere degli eventi finisce per farli scontrare e dubitare l’uno dell’altro senza però far dimenticare loro il voto di fratellanza, ed ai quali si aggiunge la sempre tormentata Ilia ancora persa nella sua strada tra dovere verso i vivi e verso i morti.
Nell’arco degli otto episodi di cui questa seconda stagione si compone, la narrazione costruisce un intreccio continuo tra la dura realtà in cui i personaggi cercano di sopravvivere e la ricerca di elementi legati alla religione ed alle divinità. In questo le sacerdotesse e le profezie giocano un ruolo centrale, portando lo spettatore a chiedersi se le profezie siano reali perché gli dei da loro venerati esistono realmente o se siano i personaggi stessi, talmente radicati nella loro fede cieca, a portare la profezia a divenire realtà. Una divisione messa in scena dalla sceneggiatura in maniera divina – scusate il gioco di parole – ed il cui ago della bilancia riesce a non pendere mai da nessun lato e a risultare sempre bilanciato nella maniera migliore.
LA GUERRA PER ROMA
Altro elemento che finisce per elevare questo prodotto sopra la media è la ricca ricerca del realismo sul lato delle ambientazioni che mettono in scena luoghi all’apparenza minimali, ma ricchi di piccoli dettagli, ed allo stesso modo fanno i costumi e la lingua parlata che, in maniera simile al dialetto di Secondigliano per Gomorra o l’inglese del periodo per Peaky Blinders, non è l’italiano comunemente parlato figlio di Dante e Manzoni – che può comunque essere selezionato con un tasto del telecomando – bensì un protolatino che mescola termini del latino nato proprio a Roma con termini di derivazione o pronuncia greca. Un lavoro per cui non ringrazieremo mai abbastanza Gianfranca Privitera e Daniela Zanarini e che mette in mostra ulteriormente il proprio livello di dettaglio con l’evoluzione a cui la lingua stessa va incontro con l’avanzare del tempo, come si può facilmente notare nel passaggio dal nome iniziale di Ruma all’attuale Roma.
Sul lato tecnico la serie si attesta su un livello molto alto, con una fotografia che mette in scena luoghi polverosi e rocciosi con luci calde sia di giorno che di notte, passando poi a luci più fredde nel viaggio verso altre terre più rigogliose per risaltare le costruzioni in pietra. A questo si aggiunge poi la regia di cui si occupa in prima persona Rovere nel primo episodio per passare poi nelle sapienti mani della triade composta Enrico Maria Artale-Francesca Mazzoleni-Michele Alhaique, che riesce a mettere in scena questa storia senza mai scadere nel banale, mantenendo un senso dell’epicità che non sfora però mai nell’eccesso, con scene d’azione sanguinose e violentissime ma con coreografie chiare e movimenti di macchina capaci di accompagnare epicamente le gesta dei personaggi.
Non si può in chiusura non spendere due parole anche per l’ottimo livello recitativo di cui questa serie può far vanto, con attori che non solo superano lo scoglio della recitazione in una lingua appositamente creata per la serie, ma che riescono addirittura a farla propria ed a veicolare uno spettro completo di emozioni. Un cast ottimo dal primo all’ultimo nome, ma tra cui non può che prevalere la prova di Emanuele Di Stefano nei panni del re Titus, capace di mettere in scena uno dei personaggi televisivi più interessanti degli ultimi anni.
CONCLUSIONI
Con Romulus II Matteo Rovere alza ulteriormente l’asticella della qualità e lo fa attraverso la cura per i dettagli, il realismo sempre presente ed una narrazione che riesce a bilanciare ottimamente gli elementi della vita vera dei personaggi con l’elemento divino e di fede. A questi si aggiunge un ottimo livello tecnico, con una fotografia funzionale e mai banale ed una regia che riesce a coinvolgere lo spettatore sia nei momenti più pacati sia in quelli più movimentati, questo anche grazie all’ottima prova di recitazione del cast.
Una produzione quindi di altissimo livello, che finisce di diritto per guadagnarsi un posto nell’Olimpo delle produzioni Sky con la speranza che, seguendo le orme dell’impero nato grazie a Romolo, riesca a conquistarsi la sua importanza anche al di fuori della nostra penisola.
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