Un film Pixar nato personalissimo, ma che si è perso nel crogiolo dell’industria dell’intrattenimento Made in Usa, Turning Red – ultimo film di casa Pixar – non è stato granché pubblicizzato, come è ormai prassi per molti dei film usciti da Emeryville negli ultimi anni, con poche eccezioni come Inside Out e Coco, i quali sono entrati immediatamente e di diritto nella cultura pop. Il Viaggio di Arlo è stato dimenticato presto da tutti, Gli Incredibili 2, Cars 3 e Toy Story 4 non hanno avuto certo la popolarità dei predecessori e gli ultimi Onward, Soul e Luca sono stati relegati direttamente su Disney Plus senza passare dalla sala. A Red – titolo italiano, anonimo e confondibilissimo – non è andata tanto diversamente.
È chiaro come la mega corporazione intergalattica chiamata Disney Company ormai punti il riflettore su altre colonie – con marchi diversi ma che trattano sempre di eroi in costume che combattono, preferibilmente nello spazio – oppure punti sui propri marchi storici, sfruttandone la scia per i Nuovi Classici oppure rifacendone il trucco in un live action. Un’opera come questa, diretta dalla regista sino-canadese classe 1987 Domee Shi, che in Pixar aveva già diretto il tenero corto Bao, dalla concezione certamente autobiografica e dalla gestazione più personale (per quanto si possa essere personali in un posto come la Pixar, dove l’io è sempre fuso nel Noi) non ha goduto certo dei riflettori principali, né di grande fiducia commerciale, tant’è che anche il risultato, purtroppo, non è stato memorabile.
Meilin è una tredicenne in gamba, studiosa, responsabile, estremamente devota alla sua famiglia e che rinuncia spesso a stare con le sue amiche per senso del dovere. Dopo un banale fraintendimento da parte di sua madre, iperprotettiva e un pochino ottusa, che le causerà un imbarazzo enorme e un trauma sociale tremendo, Meilin si risveglierà nelle fattezze di un gigantesco panda rosso. Per “guarire” dovrà affrontare un rituale di purificazione dalla “bestia interiore” come ogni donna della sua famiglia prima di lei. Prima, però, deciderà insieme alle sue amiche di sfruttare la situazione per raccogliere i soldi necessari ad andare al concerto della loro boyband preferita.
Nonostante la forte componente autobiografica della regista Domee Shi, soprattutto nell’ambientazione (una famiglia tradizionalista cinese a Toronto nel 2002) il film non è originale in nessun altro aspetto: nella storia, nel linguaggio, nella rappresentazione, negli intenti, nelle soluzioni e anzi le potenzialità comunicative-tematiche della pellicola non vengono sfruttate in nessun modo. Il film prova ad avere guizzi di audacia con riferimenti espliciti (droga, ONU) o impliciti (bisessualità), cercando una metafora del menarca (il colore rosso non è casuale) e con alcuni momenti onirici e mostruosi sinceramente terrificanti, ma ciò è soffocato da continui ammiccamenti inutili, personaggi non sempre simpaticissimi (le amiche della protagonista magari saranno di ispirazione a molte giovani spettatrici, ma sembrano una fusione dello stereotipo di teenager di 4 decenni diversi) e, cosa rara in Pixar, un design e un’animazione a tratti sgradevole. La colonna sonora targata Ludwig Goransson è sacrificata, le canzoni della boyband 4 TOWN (impersonata da Finneas o’Connell e altri. Finneas ha scritto le canzoni insieme alla sorella Billie Eilish) sono credibili per una boyband del 2002 (qualcuno ha detto Blue) ma dimenticabili. Anche se sicuramente troverà il suo pubblico di preadolescenti e adolescenti colmi di insicurezze e bambini attirati dal design del panda.
Tra Ranma ½ e Brave, passando per Teen Wolf (più il film con Michael J. Fox che la serie), con un po’ di Kung Fu Panda e film di Kaiju vari con alcuni effetti visivi da shojo anime, Red da opera personale diventa uno dei tanti prodotti industriali della linea che la Disney Company – sempre desiderosa di darsi un’immagine progressista – vuole vendere ai vari pubblici asiatici. Basti guardare a Shang Chi o a Raya e alla presenza di Chloé Zhao nella scuderia Disney. Film che hanno come madre Mulan, come padre il Jake Long di American Dragon e come incubatrice il registratore di cassa.
Qui si manifesta chiaramente la crisi di una Pixar ormai confinata ai margini della galassia Disney Company, quella che fino ad una dozzina di anni fa era il cuore pulsante del cinema pop per famiglie in America ha prodotto, con questo Red, un film da Illumination Entertainment qualsiasi. Dopo Toy Story 3, complice l’uscita di scena (dovuta) di John Lasseter nel 2017, ha faticato ad alzare l’asticella dei propri film e quando lo ha fatto (Inside Out, Soul) il merito era forse più dell’esperienza di Pete Docter. Mentre si contano gli abbonamenti sottoscritti a Disney Plus e il numero di peluche col panda venduti, attendiamo il pezzo forte della Pixar nel 2022, con (guarda un po’) un eroe nello spazio chiamato Buzz Lightyear.
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