Sofia Coppola approda alla 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia presentando in Concorso Priscilla, film in cui racconta la relazione fra Priscilla Beaulie (Cailee Spaeny) ed Elvis Presley (Jacob Elordi, il Nate Jacobs di Euphoria) basandosi sul romanzo Elvis and Me scritto dalla stessa Beaulie che per l’occasione figura anche come produttrice esecutiva.
Nella Germania Ovest del 1959 vive Priscilla, figlia adottiva di un ufficiale della U.S. Air Force superiore di Elvis Presley durante il periodo del suo servizio militare presso le truppe d’occupazione locali. La ragazza appena diciassettenne è attratta dall’aura divistica di The Pelvis e trova un modo per conoscerlo: il film seguirà la loro relazione dopo il trasferimento a Graceland, la storica dimora di Elvis, fino alla rottura definitiva nel 1972.
Stringere i denti
Appena un anno da Elvis di Baz Luhrmann e dall’esplosione della carica erotica e del fascino magnetico del king del rock come icona immortale, Sofia Coppola per contrappasso non fa un film su Elvis ma sceglie di sfruttare la travagliata relazione tra l’uomo comune dietro ai grandi palchi e la compagna Priscilla, per ricordarci che anche le donne hanno desideri e che questi non possono essere appagati dalla semplice vicinanza alle luci dei riflettori. Come Maria Antoinette che nell’omonimo film cresceva sola e incompresa nell’opulenta corte di Versailles, Priscilla si allontana dalla famiglia appena diciassettenne per andare a Graceland, dove crescerà sola e ignorata nel mondo sfarzoso ma farsesco del cantante, senza mai nemmeno un tentativo di comprensione da parte del compagno. Non è difficile per Priscilla avvicinarsi a Elvis, punto interessante che permette sin da subito di percepire il cantante come suo pari, privato dell’immortalità della sua icona o, per meglio dire, dell’icona stessa: ha paura di essere dimenticato, gli manca terribilmente l’America e deve ancora metabolizzare la morte della madre avvenuta l’anno precedente. Persona comune anche d’aspetto, che Coppola sceglie curiosamente – tuttavia sfidando anche la sospensione d’incredulità dello spettatore – di mantenere molto simile a quello del suo interprete Jacob Elordi durante tutta la prima parte del film, per renderlo pian piano sempre più simile al cantante con l’emergere del del suo lato sempre più narcisista e quindi del suo vero aspetto. La giovane ragazza però non sa che i due lati di Elvis saranno sempre in dura competizione e assisterà all’emersione di un bipolarismo tossico e preoccupante: Priscilla lo conosce spinta anche dal desiderio di allontanarsi dalla famiglia rigida e coercitiva. Di gabbia in gabbia: la ragazza scoprirà di essere passata da quella familiare a quella dell’oblio emotivo di Graceland, dove ricoperta di gioielli e notti brave a Las Vegas cercherà stoicamente di trovare qualcosa di buono nel narcisismo assoluto del compagno, fino a quando il filo non si spezzerà e deciderà di andarsene.
Elvis proietta in Priscilla la vita che vorrebbe avere ma che è perfettamente cosciente di non essere in grado di reggere, subissato dalla sua egomania e dalla sete di fama. Lei vorrebbe anche fare l’amore con lui ma il cantante con la scusa dell’ampia differenza d’età rifiuta ogni volta, ovviamente solo per dissimulare l’appagamento già ricevuto dalle attrici con cui si frequenta. Priscilla stringe i denti e va avanti. Al sesso preferisce fingersi intellettuale leggendole un libro ad alta voce, salvo poi chiederle di sposarsi; è nella prima notte di nozze che capiamo come il fuoco di burning in love, semmai, brucia solo per i finti amori passeggeri con cui riempie le giornate: guardandola soddisfatto non è capace di dire “ti amo” ma solo un flebile “mia moglie“, come se avesse appena ottenuto un bottino, come se lei fosse un oggetto. Priscilla stringe i denti e va avanti. Sognando il matrimonio perfetto le chiede anche un figlio. Lei non è d’accordo ma si lascia convincere iniziando una gravidanza durante la quale, improvvisamente, Elvis le chiede di prendersi una pausa. Priscilla accetta a denti stretti, quasi cinica, e va avanti. Le è chiaro ormai che The Pelvis sta venendo pian piano divorato dalle anfetamine e vorrebbe aiutarlo, se non fosse che l’emotività non trova spazio nemmeno le poche volte che riescono ad andare a letto assieme (ora ti faccio vedere come un uomo scopa la sua donna, esclama l’uomo a letto), come nei discorsi che Elvis inizia sempre con vena autoreferenziale senza dare mai voce in capitolo alla moglie o chiederle un suo parere; ma forse meglio così, se ogni volta che viene interpellata deve essere privata anche del suo nome e venir chiamata “Satnin”, soprannome dall’origine ancora incerta, fra chi sostiene che Elvis lo usasse come pet name per tutte le sue donne e chi invece gli affibbia un’origine più “nobile”, collegata a ricordi d’infanzia del cantante. Priscilla stringe i denti e va avanti. Fino alla separazione.
Il rischio dell’indifferenza
Priscilla è mera figurazione mentale della vita che Elvis avrebbe voluto avere, di quei desideri che soddisfava in maniera dissoluta in ogni altro istante; gli stessi desideri che però ora è Priscilla a non sentire appagati, restando per anni nella condizione di entità fantasmatica di sé stessa, nonché di quella seconda vita bramata da Elvis. Al contempo quindi la regista ci sbatte in faccia la realtà di una ragazza qualunque che a metà ‘900, da un momento all’altro, si ritrova ad essere la compagna del king of rock indiscusso. Come reagire? Il canovaccio è classico, semplice, lineare, forse fin troppo. La sceneggiatura si ripete in maniera inesorabilmente lineare e prevedibile lungo tutti i 113 minuti, seppure all’interno di una confezione ottima: una bomboniera di colori pastello e flash di polaroid che talvolta sfiora il manierismo. Coppola usa Priscilla e il lato meno raccontato di Elvis per parlare di una condizione universale in cui si ritrovano molte donne e di certo ancora più frequente a metà del secolo scorso. Potremmo sarcasticamente accostare il film al genere survival per la forza d’animo e lo stoicismo messi in campo da Priscilla, ma forse a fine corsa c’è il serio rischio d’indifferenza: più che una corsa il film è una passeggiata rilassata nella vita della coppia, che pur presentando caratteristiche peculiari del cinema della regista non tralascia mai esplodere per davvero le bramosie e i desideri inappagati di Priscilla. Sebbene tratteggiata sicuramente come personaggio forte e capace di reggere psicologicamente la vicinanza a quello che per lei era un gigante della musica, non capiamo mai bene la motivazione del suo stringere i denti e andare avanti. Certo, si gioca tutto sul rapporto tra il fascino del king e l’attrazione che esercita su di una diciassettenne spaesata che si dimostrerà molto più leale e matura, però se non si mettono davvero in scena l’eros, i desideri e di conseguenza le emozioni, ci si espone a banalizzazioni del tema e al racconto di una storia già vista altrove tante volte. In mano resta un involucro estetico degno di nota e le recitazioni convincenti dei due protagonisti, ma la sceneggiatura pur trattando un tema interessante ed attuale tiene tutto fin troppo sottotraccia, rischiando di confondersi nel mare magnum dei racconti di rapporti coniugali problematici e lasciando il pubblico indifferente e disinteressato.
Pur non essendoci ancora una data ufficiale, Priscilla sarà distribuito negli Stati Uniti da A24, in Italia da Vision Distribution mentre in altri Paesi arriverà grazie a Mubi.
![Alberto Faggiotto Alberto Faggiotto](https://framescinema.com/wp-content/uploads/2023/03/7-1.png)
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