Scorrono i titoli di testa su uno sfondo completamente nero, gli unici suoni che avvertiamo sono i gemiti di piacere di una donna assieme a quelli maschili, sensibilmente più numerosi. É interessante da un punto di vista analitico la prima sequenza di Pleasure, perché è come se si andasse non tanto ad annullare la gaze theory del cinema (secondo cui nella grammatica degli sguardi sono incluse e rappresentate le sovrastrutture sociali, oltre alle dinamiche diegetiche), ma piuttosto si intendesse suggerirla attraverso le nostre suggestioni inconsce: il piano visuale è eliminato, non si può parlare di sguardo, ma da quello uditivo capiamo che il rapporto uomo-donna è impari, c’è uno squilibrio. Forse sta parlando proprio a noi spettatori.
L’ALTRA ALTRA HOLLYWOOD
Un incipit tutto fuorché casuale: se Boogie Nights – L’altra Hollywood di Anderson ci aveva “scorsesianamente” narrato la decadenza dell’industria pornografica d’inizio anni ‘80 tramite lo sguardo maschile di Dirk Diggler, il film di Ninja Thyberg cambia totalmente approccio.“Non volevo giudicare né psicoanalizzare nessuno, solamente comprendere i metodi” afferma Thyeberg dopo aver frequentato in prima persona i set pornografici di Los Angeles per cinque anni (dove ci sono giornate lavorative standard dalle 9 alle 17): non siamo più di fronte all’epica ascesa e caduta di un giovane talento del porno, ma vediamo riportate su grande schermo le logiche dell’industria filtrate da un approccio naturalistico, vicino al documentarismo.
Con Pleasure stiamo parlando del lungometraggio d’esordio di Ninja Thyberg, adattamento dell’omonimo cortometraggio del 2013 sempre della regista, selezionato per l’edizione di Cannes 2020 e dal 17 giugno 2022 disponibile su MUBI, dopo una brevissima anteprima in Italia al Biografilm Festival (che si tiene a Bologna dal 10 al 20 giugno).
La storia parla della svedese Bella Cherry (Sofia Kappel, anche lei al suo esordio) e del suo approdo a Los Angeles guidato dal desiderio di diventare una giovane star del porno. La scalata nel “porno star system” non sarà facile come previsto.
SGUARDO FEMMINILE
Fetish, BDSM ed extreme sono i tre generi utilizzati da Thyberg per scandagliare le modalità di produzione e lavorazione del porno mediante un approccio lucido e privo di pregiudizi, tanto da chiamare davanti alla macchina da presa persino gli stessi attori conosciuti sui set lungo i cinque anni. É curiosa infatti la storia della regista oggi appena trentasettenne, inizialmente attivista anti-pornografia entrata poi in contatto con l’ambiente prettamente femminista studioso del female gaze (lo sguardo del cinema sul femminile: il cinema hollywoodiano ha da sempre codificato in espressioni formali ben definite la differenza sessuale nei film, dove la donna è quasi sempre in uno stato di subordinazione), che l’ha spinta a indagare – nel business più commerciale – le modalità con cui si riscontrano ancora oggi le principali problematicità sulla gestione del lavoro, soprattutto per quanto concerne il labile confine del consenso da parte delle attrici. Il lato malato del porno è esattamente lo stesso del pubblico che ne fruisce, essendo quest’ultimo il pilota del consumo e il porno specchio della mentalità imperversante nelle strutture sociali. Una società in cui uno strap-on può assurgere a simbolo di un’industria patriarcale, mascolina e tossica in cui violenza chiama violenza, e dove basta un fallo di gomma per divenire consapevoli della misoginia imperversante.
Pleasure, tuttavia, ha due problemi principali: il primo è quello di essere stato ghermito dalla maledizione del Sundance Film Festival (dove è stato presentato nel 2021): senza generalizzazioni qualunquiste ma per motivazioni ben precise, come il trampolino di lancio che costituisce per molti esordienti, c’è spesso nell’atteggiamento dei film presentati una certa incauta sfrontatezza che, anche a causa dei budget esigui, si traduce in schematicità narrativa, mancanza di originalità registica e assenza di una concezione di cinema davvero personale (uno dei casi più eclatanti dello scorso decennio era Excision di Richard Bates Jr). Il secondo è l’amaro in bocca che lascia per via dei suoi piedi in due staffe: chiamando sul set gli stessi attori conosciuti lungo i cinque anni (addirittura il produttore Spiegler – incredibilmente simile al Roger Alies di Bombshell – interpreta sé stesso) risulta evidente un piede sull’acceleratore mai premuto, per via di una mediazione costretta e forzata che – limitandosi a un (quasi) documentarismo osservativo – potrebbe non chiudere tutte le implicazioni aperte (forse nemmeno pretendeva di farlo).
LE REGOLE DEL PORNO
La tesi di Pleasure, messa in scena da un’idea di cinema scolastica, resta interessante per come problematizza il problema del consenso (per esempio nella riuscita sequenza del rough sex: direttamente connesso alla diffusa eccitazione che il porno genera attraverso situazioni di abuso e di costrizione) e i problemi strutturali delle industrie pornografiche governate patriarcalmente dai “predatori sessuali”.
Thyberg dichiara di aver intervistato tante ragazze aspiranti star nei set di Los Angeles, chiedendo con quanta frequenza si siano prestate a scene di rough sex o BDSM non consenzienti. Hanno risposto che dire di “no “è sempre possibile, ma nessuna di loro l’ha mai detto: se sei donna e vuoi fare strada nel mondo del porno cerca di creare meno problemi possibili. Cos’altro è questo precetto, se non lo specchio dell’educazione secolare impartita alle donne del dover essere brave ragazze e assecondare i desideri degli altri? Le regole sui set esistono, ma non sono sufficienti.
In questo contesto, nonostante le problematiche di narrazione e di messa in scena, Pleasure potrebbe essere uno spunto di partenza e di riflessione.
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