Sono anni prolifici per Guillermo Del Toro: il membro della banda dei “Tre amigos del cinema” (i tre messicani alla conquista di Hollywood: Del Toro, Iñárritu e Cuarón) è uscito nelle sale un anno fa con La Fiera Delle Illusioni – Nightmare Alley e questo fine ottobre 2022 ha fatto per la prima volta la conoscenza di Netflix, seppur in veste di produttore, con la serie antologica Cabinets of curiosities. In questo suo adattamento di Pinocchio restiamo dentro alla sfera di influenza della “N” rossa di Reed Hastings seguendo (o meglio: subendo) l’iter adottato per moltissimi film dalla piattaforma: Pinocchio di Guillermo del Toro è uscito nei cinema italiani il 4 novembre 2022 ma l’approdo su Netflix è previsto dopo appena cinque giorni, per il 9 dicembre.

Sorvolando sull’annosa e complicata questione di Netflix e la distribuzione in sala così risicata dei suoi prodotti (per usare un eufemismo), quello che preme sottolineare è la locuzionedi Guillermo del Toro: la paternità di un’opera specificata nel titolo può avere diverse funzioni, sottolineare l’autorialità del progetto (inserendo il nome del regista: pensiamo a Jodorowsky’s Dune) oppure rimarcare la fedeltà del film al romanzo cercando anche di differenziarsi dal filone di adattamenti cinematografici precedenti (specificando il nome dell’autore del libro: Dracula di Bram Stoker). Questo “di Guillermo del Toro” è un’ideale crasi delle tre funzioni appena citate: per non confondere un pubblico già frastornato dall’inaspettata ondata di Pinocchio (che conta ben tre film in tre anni con quello di Garrone e quello di Zemeckis), si è resa quasi necessaria l’aggiunta della paternità dell’opera nel titolo sia per distinguerlo dagli altri adattamenti contemporanei, sia per mettere sull’attenti gli spettatori; questo che vediamo (per i pochi fortunati) su grande schermo è “di Guillermo del Toro” e non di Collodi, di cui rimangono praticamente soltanto i nomi dei personaggi (circa) e l’idea di fondo che dà il via alle vicende. Per il resto siamo nel bel mezzo del territorio molto caro al regista: la narrazione di un freak, la rivincita della minoranza del “diverso” sulla maggioranza conformata alla società, il coming of age che viaggia sullo scosceso crinale che separa Storia e fantasia (esattamente come la Ofelia Vidal de Il Labirinto del Fauno) e che costringe i personaggi a dover affrontare di petto la morte, oltre che la vita. Un monito soprattutto per i più piccoli che se già con il romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino sapevano si sarebbero trovati di fronte a una fiaba nera, nel film in stop-motion di Del Toro – il primo della sua carriera girato con la tecnica “passo uno” – dovranno fare i conti con il gusto del gotico e del macabro che caratterizzano da sempre la carriera del regista messicano.

Sarebbe ingeneroso, tuttavia, non citare anche il nome dell’altro regista che ha co-diretto il film ovvero Mark Gustafson, di cui poco possiamo dire riguardo all’influenza della sua poetica ma che di certo ha dato una grande mano per quanto riguarda l’approccio di Del Toro alla stop-motion, avendo già collaborato con Wes Anderson nella realizzazione di Fantastic Mr. Fox.

Ewan McGregor dona la voce a Sebastian il Grillo

LA FIABA: UN RACCONTO SENZA TEMPO 

Questo nuovo Pinocchio scopre le carte sin dal principio: se il lavoro di Collodi era ambientato all’indomani dell’Unità d’Italia, ora siamo sempre nel Belpaese ma in pieni anni ‘30 e con il fascismo di Mussolini imperversante. Geppetto (David Bradley) è un vecchio falegname che ha perso il figlio a causa di un bombardamento durante la prima Grande Guerra e che anni dopo, in ricordo del figlio scomparso, decide di costruire la piccola marionetta Pinocchio (Gregory Mann). Il desiderio del vecchio padre di avere un nuovo figlio prende vita grazie all’incantesimo di una fata (Tilda Swinton), che dona l’anima a Pinocchio e con essa il sogno del piccolo burattino di diventare un bambino in carne e ossa. Come da tradizione, Pinocchio è tutt’altro che un vero bambino e non è di certo un figlio modello, ma la tradizione letteraria verrà abbattuta dalla narrazione delle avventure della piccola marionetta assieme a Sebastian il Grillo (Ewan McGregor), con il quale parte per non arrecare più problemi al padre e con cui, fra mille peripezie, si ritroverà a dover fare i conti anche con le atrocità del totalitarismo infuriante.

L’operazione di rivisitazione di Del Toro ricopre ogni singola pagina del romanzo classico ed è perennemente intrisa dell’atmosfera gotica-orrorifica che è ormai marchio di fabbrica del regista: rielaborando anche i nodi narrativi per una maggiore fluidità di trama che abbandona il carattere (quasi) episodico del romanzo originale, il film ci presenta un Geppetto completamente iracondo e in preda ai fumi dell’alcool mentre costruisce il burattino con accettate che tagliano pezzi di legno come se fossero arti umani, dentro a una casolare che illuminato dai lampi del temporale appare come una casa degli orrori. Pinocchio tornerà in vita grazie all’incantesimo che – più che da una “fata dai capelli turchini” – sembra essere elargito da una divinità ancestrale dai tratti di Chimera (non a caso estremamente simile a quella di Princess Mononoke e per giunta accompagnata da piccoli spiriti provenienti dal bosco limitrofo, anch’essi riconducibili a quelli del folklore nipponico). Il Conte Volpe (Christoph Waltz) svolge anche il ruolo di Mangiafoco e non è più in compagnia del celeberrimo Gatto ma della maltrattata scimmia Spazzatura (Cate Blanchett), non c’è traccia della trasformazione di Pinocchio in asinello mentre l’unico che pare rimanere più o meno tale e quale al romanzo è il filosofeggiante grillo Sebastian, utilizzato soprattutto come ‘comic relief’ della situazione al fine di stemperare saltuariamente i toni. L’aura mortifera del fascismo è in ogni inquadratura: il giovane Lucignolo (Finn Wolfhard) è un ‘figlio della lupa’ con un padre generale fascista, il Paese dei balocchi è un lontano ricordo che lascia spazio a un campo di addestramento, il “terribile pesce-cane” deve fare slalom fra le mine navali, i fascisti vogliono appropriarsi di Pinocchio per sfruttare la sua immortalità come arma da guerra e in una scena in particolare apparirà anche Benito Mussolini.

Pinocchio di fronte alla fata/morte rivisitata da Del Toro

LA RIVISITAZIONE DI UN CLASSICO

Scagliandosi contro i totalitarismi del tempo, aggredendo anche la religione (il prete è totalmente asservito al Regime e la morte del figlio di Geppetto avviene – guarda caso – nella cattedrale della cittadina), oltre che dipingendo Pinocchio come un freak rifiutato dalla società bigotta e fascista (“E’ stregoneria!”, “E’ opera del diavolo!”), Del Toro rende estremamente personale la morale del lavoro di Collodi: tra le mille interpretazioni che sono state date della fiaba – di cui alcune esoteriche e persino teologiche – quella più diretta e consolidata è la funzione pedagogica data dalla sua natura di racconto di formazione, dove un Pinocchio disubbidiente e remissivo a seguire i dettami della società rientra sulla retta via capendo l’importanza dello studio e del lavoro, diventando così un vero bambino. Tuttavia, se c’è un carattere importante della fiaba è proprio la sua valenza universale che le permette di poter essere adattata a qualsiasi momento storico: nel Pinocchio “di Guillermo del Toro” la società non è più l’esempio da seguire ma un’entità da cui fuggire, a rendere la marionetta di legno un vero bambino non sono più lo studio e il lavoro (che, al contrario, lo avrebbero reso un essere disumano asservito al Regime proprio come il prete) ma la purezza dei legami umani, l’assimilazione del concetto di “morte” e l’acquisizione della consapevolezza dello scorrere inesorabile del tempo (“I bambini veri non ritornano!” gli verrà detto dallo sovrana dell’oltretomba), l’anticonformismo e l’abilità nel rendere un pregio la propria condizione di freak dando dignità al “diverso”.

L’ARTE DELLA MEDIAZIONE

Se il film non raggiunge lo status di capolavoro è probabilmente soltanto per la sua volontà di tenere il piede in due staffe, tentando di accontentare (comprensibilmente) più fasce di pubblico: finora è stato taciuto un aspetto abbastanza incisivo della pellicola nonché i suoi sporadici inserti musicali (di numero molto più contenuto di quel che ci si potrebbe aspettare) atti ad affievolire le atmosfere che avrebbero altrimenti stretto in una morsa d’angoscia sempre più stretta il pubblico preadolescenziale. Non dimentichiamoci che stiamo comunque parlando di una fiaba nera destinata (anche e soprattutto) ai più piccoli: quindi ecco il ruolo già citato di Sebastian come ‘comic relief’ e delle musiche che talvolta stonano leggermente con il contesto in cui si calano, apparendo quasi incastonate a forza allo scopo di addolcire la dose di dolorosa lezione di vita. Una verve comica che non inficia la fruizione ma che occasionalmente spezza i toni tirando fuori lo spettatore più maturo dalla diegesi filmica e perdendo una piccola parte di immedesimazione. E’ l’arte della mediazione: Del Toro la mette in scena comunque con grande gusto ed eleganza.

Conte Volpe ha la voce di Christoph Waltz

Pinocchio di Guillermo del Toro è il vademecum delle giuste operazioni di gioco, dissezione e investigazione che si possono attuare su di un grande classico, per arrivare sul finale persino a disintegrare la morale d’origine mantenendo comunque il suo carattere pedagogico e di formazione, dimostrando l’universalità e il carattere imperituro del racconto fiabesco. In un’epoca di continui riadattamenti, riproposizioni, reboot, remake, sequel e prequel, questa perifrasi sembra ormai diventata un luogo comune fra i cinefili ma è pressoché impossibile esprimersi in altro modo: Del Toro ha fatto l’unica trasposizione possibile di Pinocchio per non farci avvertire la sensazione e il peso della reiterazione e del “già visto”, centrando pienamente l’obiettivo.

Vista questa prima (riuscita) incursione di Del Toro nell’arte della stop-motion, speriamo si avveri la dichiarazione di appena pochi giorni fa riguardante la possibilità di girare – sempre frame by frame – l’adattamento di Alle montagne della follia dello scrittore H. P. Lovecraft. Il 10 novembre 2022 il regista ha pubblicato sul suo account Instagram un test CGI di ormai dieci anni fa (l’idea originale era di girare il film in live action): potete recuperarlo a questo link.

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Alberto Faggiotto, Redattore