Piggy è l’esordio sui grandi schermi di Carlota Pereda, presentato in anteprima mondiale nel gennaio 2022 al Sundance Film Festival e frutto dell’estensione dell’omonimo cortometraggio della regista spagnola, che ai Premi Goya e Forqué del 2019 si era aggiudicato le statuetta nella categoria “miglior cortometraggio”. Ma Piggy è anche il nome con cui viene bullizzata Sara (la convincente Laura Galán), un’adolescente che vive in un borgo dell’Estremadura e che viene continuamente vessata da tre sue coetanee per via del suo fisico in sovrappeso. In più, Sara non può nemmeno contare sul supporto della famiglia, a cui non interessa minimamente comprendere la sofferenza della ragazza. Un caldo giorno d’estate sta passando il pomeriggio nella piscina comunale quando, dopo aver nuovamente subito le angherie verbali delle tre ragazze, queste vengono interrotte dalla presenza di un sconosciuto in acqua. Il misterioso individuo si rivelerà presto uno spietato serial killer che catturerà le tre bulle e manifesterà anche una certa attrazione verso Sara, che assistendo all’evento dovrà decidere se vendicarsi o salvare le ragazze.
Laura Galán nei panni di Sara
Bully horror
L’ampliamento del cortometraggio del 2018 Cerdita – traducibile in inglese Piggy, per l’appunto – estende in realtà la sequenza della piscina su cui era interamente basato il corto, che cinque anni fa vedeva un finale assolutamente più pungente con Sara che lasciava le tre prepotenti in balia del maniaco omicida, non prima di aver ripreso con serenità i suoi effetti personali. Resta però la vena del bully movie grazie al tema centrale (fino a un certo punto) del body shaming, che la presenza scenica della sbalorditiva Laura Galán riescono a portare sullo schermo con grande credibilità e intensità. In questo aiuta sicuramente la scelta del formato 4:3 scelto intelligentemente da Pereda per ingabbiare l’adolescente (nella realtà trentasettenne) e creare un’aura di claustrofobia attorno al corpo di Sara, trasudante di una corpulenta fisicità mai affrontata con pietas o indulgenza.
E’ proprio per questo che il film funziona benissimo per tutta la prima parte, quando Sara si sente ripetutamente sbeffeggiare con appellativi come piggy (porcellina), whale (balena) o miss bacon, paradossalmente prima della svolta finale gore e grand guignol; guarda caso fino alla scena della piscina, quando gli elementi bully e shaming erano ancora il perno del film e riuscivano a farci entrare sottopelle il doloroso processo d’interiorizzazione di Sara: di lì in avanti subentrano i problemi che spesso i registi esordienti incontrano quando decidono di trasformare un loro corto in lungometraggio (ricordate per esempio Lights Out – Terrore nel buio?), ovvero la perdita di focus e di coerenza di un’idea che, se funzionava nel breve minutaggio, con più di 90 minuti si annacqua e sfuma d’incisività.
Le tre bulle non vengono mai approfondite
Il gore non basta
Il film perde di sostanza e diventa più vacuo perché Pereda non sa bene che direzione imprimere alla sceneggiatura. Gli sprazzi di black comedy appaiono sempre out of context, non riusciamo mai a cogliere la sensatezza del velo d’ironia che permea certe sequenze dal momento che i personaggi di contorno (coloro che portano in scena questo strato sarcastico) non sono mai approfonditi o più che abbozzati, a partire dalle tre bulle per arrivare ai familiari di Sara. Ad infastidire maggiormente è il tradimento delle premesse iniziali, con il completo abbandono delle componenti body e bully a causa dell’inserimento di un agente esterno al quadro iniziale, il serial killer, abbastanza fuori luogo e di difficile comprensione ai fini drammaturgici.
Il 4:3 che intrappolava Sara diventa completamente superfluo ai fini della narrazione, non c’è una riflessione sul corpo (a meno che non basti il sangue di cui è ricoperto sul finale) né si assiste a uno struggente revenge movie capace di sollevare problemi morali in un mondo che non sa cosa sia la moralità. Anzi, tralasciando le esplosioni di emoglobina e l’incursione nello slasher, il film pare quasi rinnegare la sua natura orrorifica optando per un finale eticamente più tenue e consolatorio del cortometraggio, senza problematizzazioni e rifiutando quell’inquietudine persecutoria che l’horror dovrebbe lasciarti addosso per i giorni successivi alla visione.
Il serial killer e Sara
Vedendo Piggy balza in mente la spaventosa somiglianza con un caso speculare datato 2012, quello di Excision di Richard Bates Jr., anch’esso presentato al Sundance, basato sull’omonimo cortometraggio del regista e avente al centro i disagi di una ragazza (ai tempi di natura prettamente sessuale): entrambi i progetti faticano a capire che direzione prendere cercando il clamore nel gore e nell’estetica indi (di cui il Sundance è storicamente ghiotto) ma senza un’idea chiara di cosa narrare.
La scelta di estendere la breve idea iniziale rema contro il risultato finale e non dà giustizia alla confezione discreta, soprattutto se si sta decidendo di affrontare il genere per antonomasia dove la ricerca dello shock e del turbamento necessitano di un lavoro consapevole in fase di scrittura, per restare coerenti e ben legati alla materia narrata e non lasciare apparire certe sequenze come gratuite e fini a sé stesse. E’ davvero un peccato: tanto sangue per nulla.

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