Quando a metà del 2021 uscì il primo trailer di Pig, film diretto dall’esordiente Michael Sarnoski e con protagonista Nicolas Cage, la reazione che molti ebbero fu un misto tra la curiosità e la paura di essere di fronte all’ennesimo film mediocre con protagonista il nipote di Francis Ford Coppola. Siamo infatti abituati alle interpretazioni sopra le righe, in overacting o, peggio, chiaramente non ispirate di Nicolas Cage, che pure nei circa 40 anni della sua carriera ci ha regalato anche ottime interpretazioni, alcune persino eccellenti: si pensi a Cuore selvaggio di David Lynch o Il ladro di orchidee di Spike Jonze.

In questo film, Nicolas Cage – protagonista assoluto della pellicola – interpreta Robin “Rob” Feld, un ex chef che, per motivi che ci verranno chiariti durante la visione, vive in un capanno nelle montagne dell’Oregon, isolato dal resto del mondo. Il vecchio cuoco divide la casa con una scrofa da tartufi, ovvero un suino capace di scovare facilmente il prelibato fungo. Il suo unico contatto col mondo esterno è rappresentato da Amir (Alex Wolff), il quale va a trovarlo settimanalmente proprio per acquistare – o, meglio, barattare – i tartufi raccolti da Feld. L’andamento tranquillo, piatto e monotono della vita condotta da Robin viene bruscamente alterato dal rapimento di Brandy, la sua maialina. Quello che l’animale rappresenta per Rob, infatti, non è solo una fonte di “guadagno”, anzi, è proprio tutt’altro: Brandy è la sua unica amica, l’unico essere vivente a cui si sente ancora legato e per cui nutre un sincero affetto. Ritrovarla, dunque, diventa da quel momento la sua unica ragione di vita.

Dopo le tante pessime interpretazioni di Nicolas Cage era lecito aspettarsi qualcosa del genere anche da un film che, possiamo dirlo, non si presentava nel migliore dei modi. Dati i precedenti dell’attore, la paura che il rapimento dell’animale potesse mettere le basi per un bizzarro film action in cui un ex chef uccide decine di persone per ritrovare il suo maiale da tartufi era più che giustificata. Mai sensazione fu più sbagliata. Pig è tutto tranne che mediocre o scontato; è un’opera malinconica, che sa prendersi i suoi tempi e alternare momenti di riflessione a brevi ma ben calibrati momenti di adrenalina.

Nicolas Cage ci regala una delle sue migliori interpretazioni, dimostrando ancora una volta come, spesso, la performance di un attore dipenda moltissimo dalla direzione che il regista dà al suo personaggio. Robin Feld è un omone di poche parole, apparentemente rude ma caratterizzato da una delicatezza tanto celata quanto profonda. Lo spettatore viene immerso fin da subito nel suo stile di vita lento, minuzioso, ma anche pieno di solitudine. La mitezza e la bontà di quest’uomo si notano dai piccoli gesti – il rapporto con Amir che si evolve man mano ne è la prova – e soprattutto dal suo rapporto con il cibo: cucinare rappresenta, per l’ex chef, quasi un cerimoniale religioso, un rito che compie lentamente ma stando attento ai minimi dettagli, creando piatti tanto semplici quanto deliziosi. L’interpretazione di Cage potrebbe apparire sottotono ma, invece, dona al suo personaggio un alone di mistero e umanità che ne fa uno dei meglio riusciti della scorsa annata cinematografica.

Anche da un punto di vista tecnico il film sorprende, con una regia elegante e funzionale al racconto, che alterna macchina fissa a macchina a mano. In particolare, il regista ci mostra dei veri tocchi di classe in alcune scene in cui la macchina da presa segue i movimenti bruschi e barcollanti del protagonista, con un effetto a metà tra la confusione (voluta) e una massima immedesimazione dello spettatore nel personaggio. La fotografia di Patrick Scola ci mostra una contrapposizione evidente tra gli ambienti naturali, rappresentati con una vasta gamma di luci, ombre e colori, e le ambientazioni cittadine, che, anche nella loro apparente eleganza, risultano sporchi, bui, corrotti.

Pig è una storia fatta di amore, sofferenza, amicizia e contraddizioni. La storia di un uomo in fuga dal proprio passato ma che, per amore, è costretto a rimettersi in gioco, a tornare al mondo. Uscendo dal guscio dove si era rinchiuso Robin Feld rinasce, e, nonostante l’immenso dolore, può finalmente affrontare i fantasmi del passato. Michael Sarnoski, che firma anche la sceneggiatura, ci vuole mostrare come la vita sia in continuo mutamento, come non si possa fuggire dal proprio passato: un misto di pessimismo e fatalismo che descrivono la condizione umana.

Quest’opera non è di certo esente da difetti: il secondo atto risente probabilmente dell’inerzia di quei momenti volutamente lenti e calmi che accompagnano tutta la pellicola, rimanendo a volte impantanato in dialoghi che possono apparire troppo estesi (nonostante la durata relativamente breve del film, un’ora e mezza). Al di là di tutto ciò, Pig è un film che va visto perché – come i piatti di Robin Feld che, nonostante la loro apparente elementarità, venivano trasformati dall’esperienza e dall’amore dello chef in autentiche opere d’arte – anche le storie più semplici possono diventare grandi film grazie alla maestria di un cineasta ispirato come Michael Sarnoski.

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Rosario Azzaro, Direttore Editoriale