Et si tu n’existais pas
je ne serais qu’un point de plus
dans ce monde qui vient et qui va
E se tu non esistessi
non sarei nulla più che un punto
in questo mondo che viene e che va
– Joe Dassin – Et si tu n’existais pas
Passeggeri della notte (Les passagers de la nuit) ha il ritmo di una ballata lenta, un po’ malinconica. L’ultimo film del regista e sceneggiatore francese Mikhaël Hers, presentato in concorso al 72º Festival di Berlino, si sviluppa nel corso degli anni ‘80 tra le luci dei grattacieli del quartiere Beaugrenelle, sul lungosènna parigino.
Giocato sulla dicotomia solitudine-incontro, il film si apre in una notte di festa dopo l’elezione di Mitterand del 1981 e si snoda poi tra il 1984 e il 1988, portandoci a irrompere per brevi periodi nella vita di Élisabeth e della sua famiglia. Lasciata da poco dal marito, reduce da un tumore al seno, con due figli adolescenti e senza lavoro, Élisabeth ci si presenta a pezzi, mentre cerca di affrontare il fallimento del suo matrimonio, la solitudine, le insicurezze economiche.
Dopo aver trovato lavoro al programma radiofonico notturno “Passeggeri della notte”, Élisabeth (interpretata da una sempre ottima Charlotte Gainsbourg) incontra Talulah (Noée Abita), diciottenne travagliata e senza fissa dimora, alla quale offre ospitalità a casa sua per un breve periodo, forse riconoscendosi nella situazione di abbandono e solitudine che la ragazza vive.
Incontri casuali e brevi visite nelle vite altrui che possono rimodellare il percorso (il viaggio, se di passeggeri vogliamo parlare) delle nostre vite: dopo Parigi, 13Arr. (Les Olympiades, Jacques Audiard, 2021), un altro cineasta francese ci porta in un’altra periferia parigina, tra torri residenziali che sembrano estendersi a perdita d’occhio ed esistenze solitarie e frammentate che si sfiorano in modo fortuito, consolandosi e medicandosi a vicenda. Per farlo – diversamente da Audiard che nel suo Les Olympiades si serviva della contemporaneità e di un raffinato bianco e nero – Hers utilizza la patina sbiadita degli anni ‘80, i colori tenui che si incastrano con il brillare delle luci della sera e brevi filmati di archivio in 16 e 35 millimetri che qua e là costellano il film con vedute e scene di vita vera della Parigi di quarant’anni fa.
Paradossalmente, pur essendo ben localizzato nel tempo e nello spazio, a tratti durante il film si avverte una sorta di straniamento, una rimozione del dove e del quando che contribuisce allo slittamento delle vicende dalla particolare all’universale. Élisabeth e i figli Judith e Matthias, così come Talulah e tutte le altre comparse nella loro vita, mentre avanzano tra dolori e la costruzione di piccole memorie felici, mentre definiscono il loro percorso in maniera più o meno casuale, orientandosi – così come Talulah in una delle primissime scene – tra le infinite linee della metrò parigina, si fanno rappresentanti di tutti noi, passeggeri di una vita che delle volte “non è come l’avevamo immaginata” ma che in un modo o nell’altro procede, intrecciandosi inaspettatamente con altri viaggi, con altre persone e lasciandosi alle spalle luoghi che sembravano custodirci, in attesa che fossimo pronti per scendere alla fermata successiva.
Passeggeri della notte è anche, per certi versi, un film di formazione: un coming of age per Talulah, Judith e Matthias che vivono l’ingresso nell’età adulta, ma in senso lato anche per Élisabeth che, ricostruendosi pezzo per pezzo dopo la fine del suo matrimonio (con un ex-marito spesso menzionato ma mai presente sullo schermo), piano piano si riscopre come donna, nel lavoro così come nella vita privata, capace, forte e desiderabile nonostante le fragilità e le cicatrici di mente e corpo, anche lei capace di accettare e apprezzare la transitorietà delle cose e delle persone.
Ad impreziosire ulteriormente il film non possono non essere menzionate le scenografie, in particolare la cura nelle scelte di design e arredi dell’appartamento di Élisabeth, e la colonna sonora che, oltre a pezzi anni ‘70/’80 come quello citato in apertura, contiene brani del compositore Anton Sanko, candidato (non senza motivo) al premio César per la migliore musica da film.
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