Oxygène è una produzione franco-statunitense del 2021. Il film, diretto da Alexandre Aja e distribuito in Italia da Netflix, si distingue nell’enorme calderone della piattaforma streaming numero uno al mondo per il modo originale in cui la storia ci viene narrata.
Protagonista assoluta di questo film, ambientato in un non ben definito futuro prossimo, è Elizabeth Hansen, una giovane donna intrappolata in una capsula criogenica che, risvegliatasi all’interno della macchina in seguito ad un guasto, dovrà trovare un modo per poter uscire prima che l’ossigeno finisca.
Parlare di questo film senza fare nessuno spoiler risulta veramente complicato. Elizabeth Hansen non ricorda nulla del suo presente, non sa chi sia né il motivo per cui si trova all’interno della capsula. L’opera è incentrata totalmente su di lei, interpretata da una splendida Mélanie Laurent (indimenticabile Shoshanna in Bastardi senza gloria), e sul suo tentativo di fuga, mischiando attimi di terrore a momenti di speranza. Il co-protagonista è un’intelligenza artificiale, M.I.L.O., installata all’interno della capsula. Mathieu Amalric, doppiatore originale, ha prestato la voce al soggetto, riuscendo a dare ad esso un tono familiare, quasi caldo e rassicurante mantenendo, però, sempre un distacco emotivo tipico di un classico assistente virtuale.
La prima cosa di cui è necessario parlare è anche il primo elemento che cattura l’attenzione dello spettatore: la meravigliosa recitazione di Mélanie Laurent. L’attrice francese, infatti, riesce a tenere sulle spalle l’intero film, grazie ad una mimica facciale capace di trasmettere qualsiasi tipo di emozione: paura, angoscia, ma anche speranza. La protagonista, essendo bloccata all’interno di una capsula criogenica, si trova in posizione supina per tutta la durata del film, motivo per cui la prova di Laurent è assolutamente incredibile. Riuscire a trasmettere una così vasta gamma di sentimenti soltanto utilizzando il viso non è cosa semplice.
Il film è girato quasi interamente all’interno della capsula, con poche scene di flashback a fare da contorno alla narrazione. Nonostante l’ambientazione sia,dunque, davvero piccola, il regista riesce a farci percepire tutta l’angoscia e la paura di Elizabeth. La macchina da presa si concentra principalmente sul volto della protagonista, ma anche sui dettagli del suo corpo e su quelli della capsula in cui è rinchiusa, resa in maniera molto realistica anche se, comprensibilmente, futuristica. Nonostante questi limiti spaziali, il film non stanca e non annoia lo spettatore, ma anzi lo intrattiene dall’inizio alla fine, grazie anche a numerosi colpi di scena (alcuni sì, telefonati) che permettono di mantenere alta l’attenzione e la suspense.
Infine, non si può non notare l’affinità della tematica con la nostra condizione dovuta alla pandemia globale. La protagonista si trova reclusa in un luogo da cui non può uscire, una sensazione che tutti noi abbiamo provato (certo, non a questi livelli) che spiega perfettamente il senso di vuoto ed oppressione che ha caratterizzato una parte delle nostre vite.
Un thriller fantascientifico dunque molto ben riuscito, che porta a casa un risultato inaspettato con pochi mezzi ma con una sapiente messa in scena ed una grande interpretazione della protagonista.
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