La figura fondamentale e complessa di Robert J. Oppenheimer affascinava Christopher Nolan da prima dell’uscita del libro biografico American Prometheus datato 2005. Prendendo le mosse da questa e da un volume di discorsi del fisico regalatogli da Robert Pattinson sul set di Tenet, Christopher Nolan confeziona Oppenheimer, uno dei film più attesi del 2023, già tra i maggiori campioni d’incasso globale dell’anno (in Italia è uscito un mese dopo che nella maggior parte del mondo), e lo fa promuovendo al ruolo di protagonista gli occhi cerulei e del sodale Cillian Murphy suo abituale collaboratore in ruoli secondari o da villain.

L’uomo e la storia

Il biopic di Nolan si muove sul doppio binario della realtà soggettiva e della realtà storica – rappresentate a colori la prima, in bianco e nero la seconda – . La prima rintraccia i decenni di vita di Robert Oppenheimer dagli anni Venti al secondo dopoguerra e oltre: brillante fisico teorico, incidentale simpatizzante di movimenti comunisti e, in seguito, direttore scientifico del Progetto Manhattan, volto alla realizzazione del primo ordigno nucleare. Nella seconda è una figura ricordata più che presente, al centro dell’ossessiva vendetta personale di Lewis Strauss (Robert Downey Jr., in un raro ruolo da antagonista), ambizioso politico con mire al Congresso, che vede in Oppenheimer causa di umiliazioni e insuccessi.

Oppenheimer segue più di vent’anni di storia americana, a cavallo tra un mondo ormai tramontato e uno nuovo, minacciato dalla spada di Damocle dell’annichilimento totale. Il resoconto di nomi e di fatti si riduce talvolta a mero nozionismo, ma l’importante non è l’aderenza alla cronaca quanto il ritratto di un individuo schiacciato dalla reazione a catena di scelte individuali e collettive, e dal contesto storico e politico in cui tali scelte si compiono. I personaggi secondari, soprattutto la moglie Kitty (Emily Blunt) e l’attivista comunista Jean Tatlock (Florence Pugh) sono appiattiti sullo sfondo dell’ego geniale e smisurato dell’uomo “più importante mai vissuto”. Ma se l’ambizione e la successiva presa di coscienza del moderno Prometeo vengono filtrate e messe a nudo, esposta è pure l’arroganza di un’intera nazione, gli Stati Uniti d’America, che decide chi deve vivere e chi deve morire per freddo calcolo o capriccio personale. Oppenheimer rifiuta la concezione di eccezionalismo americano, e rifiuta la celebrazione di una Storia vista come reazione a catena di ego (maschili) e meschinità politiche, il cui frutto è la possibilità materiale di distruggere  l’umanità intera.

Distruttori di mondi

Il fatto che, nei suoi film più celebrati, Christopher Nolan abbia sperimentato le possibilità dell’intreccio in contesti perlopiù fantascientifici, non deve far trascurare la sua passione per l’analisi dell’identità umana. E nella storia di Oppenheimer ha trovato terreno fertile per intrecciare alcuni dei suoi temi ricorrenti – l’origine delle idee, l’ambizione che diventa ossessione, il tempo – con un’inquietudine inedita per gli incubi della Storia e per il lato più oscuro della mente e una profonda ambiguità – pur con tutti i suoi limiti: la sottigliezza non ha mai figurato tra le caratteristiche principali del suo Cinema. Il dodicesimo film di Nolan è un capitolo anomalo nella sua filmografia: non il più sperimentale, ma il più politico e introspettivo. Come e più di Dunkirk, Nolan si dimostra capace di sfidare i preconcetti dello spettatore sui suoi stessi stilemi e ha realizzato un’epica storica che è già tra le opere migliori della sua carriera.

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Valentino Feltrin,
Redattore.