Alla 42a edizione del Bellaria Film Festival è stato presentato in anteprima nazionale On the Go, il primo lungometraggio diretto dalla giovane coppia spagnola María Gisèle Royo e Julia de Castro che aveva esordito alla 76a edizione del Locarno Film Festival nel Concorso Cineasti del presente. Remake di Corridas de alegría (film del 1982 diretto da Gonzalo García Pelayo di cui mantiene anche la scelta della pellicola 16mm e il formato Academy ratio, quello leggermente più largo del 4:3), On the Go è un film on the road eccentrico e senza freni, che forse affascina proprio nella (e grazie alla) sua sperimentazione imperfetta e bislacca, attraversato da un erotismo avvolgente e libero.

Girato senz’alcun second take per via del basso budget, la trama narra del viaggio in macchina lungo la Spagna di Milagros (la stessa regista Julia de Castro) e Jonathan (Omar Ayuso, l’Omar Shanaa della serie Netflix Elite). La prima, 37 anni, comincia a interrogarsi sulla maternità una volta raggiunta la soglia della fine della fertilità, mentre Jonathan, 24 anni, al contrario cerca di sfogare la sua sindrome dell’abbandono su Grindr. Durante il tragitto attraverso il mare, il deserto, un bar di un villaggio e addirittura a un santuario, si aggiungerà una ragazza chiamata Reina, sirena alter-ego di Milagros a cui porrà continui interrogativi sul senso della maternità.

Milagros e Jonathan portano la sirena in mare

“Sapevi che avere un figlio è l’azione più inquinante dell’essere umano?” Questa è la domanda che si sente porre Milagros da un’artista incontrato sul percorso. Domanda non facile a cui rispondere, soprattutto se il pensiero fisso della ragazza spagnola è ottenere una gravidanza dallo sperma rubato da un condom usato in un’orgia. E paradossalmente è questo il cuore di On the Go, dove le riflessioni emergono dallo scontro dicotomico tra due ideali che sono condizioni di vita e scelte per il futuro, dove il desiderio ardente di maternità è sempre contrapposto a quello di libertà sessuale proprio della giovinezza. Contrasto che nasce anche dal languore dei paesaggi spagnoli contrapposto all’energia incontenibile dei personaggi campy da cui emerge, a sua volta, uno strato di realismo magico che si riconosce già dai nomi dei protagonisti, Milagros-miracolo e Reina-regina, personaggi prototipo mai ridotti ai loro stereotipi ma capaci di coglierti di sorpresa proprio come il film, che ci scuote da uno scenario all’altro con transizioni scandite dal bruciare della pellicola.

Personaggi stravaganti e trasudanti di vitalità e tenerezza, riflesse nel comparto musicale che accompagna il loro on the road per la Spagna, vale a dire un flamenco rivisitato che sintetizza le loro identità, sempre in movimento, come stessero ballando. Non c’è la pretesa che tutto sia chiaro, che ogni cosa fili liscio, e per questo l’umorismo calcato e surreale consente al film di essere permeato da una vena autoironica, ma senza eccessiva autoindulgenza.

Uno dei sipari surreali che irromperanno durante il film

Il voice over a un certo punto chiede a Milagros, e di riflesso a noi, “Darai la vita o chiederai ai tuoi figli di darla a te?”: così l’urlo assordante della sirena diventa quello di una generazione che deve fare i conti con l’impossibilità strutturali imposte dalla società, e che in un momento cardine della sua vita è costretta a chiedersi perché essere madri? Perché essere padri? Cosa preferire, avere qualcuno a fianco fra trent’anni o vivere da soli godendosi il presente? Dare la vita per i propri figli o chiedere ai figli di sacrificarsi per noi? Il film non risponderà mai alle domande ma nel suo microcosmo provocatorio fatto di maschere folli e caricatissime troviamo esplorazioni sull’intimità e sulla maternità libere e spontanee, dove l’ossessione non prende mai il sopravvento e l’umanità è sempre in primo piano. Un discorso generazionale fuori dagli schemi e a tratti ingenuo, ma che nelle sue follie, anziché stordire, affascina e seduce.

Alberto Faggiotto
Alberto Faggiotto,
Redattore.