M. Night Shyamalan. Già soltanto a nominare questo nome, i cinefili di tutto il mondo si dividono in due schieramenti: chi lo apprezza e chi lo detesta. Magari si possono trovare anche persone situate più nel mezzo, che apprezzano soltanto alcuni dei suoi film o ne salvano alcuni e ne affossano completamente altri, ma resta il fatto che se si cerca l’opinione di una sua pellicola sia in ambito di critica specializzata che di pubblico, in tutti i casi si passa spesso da opinioni estremamente positive (arrivando a definire il regista come un genio visionario e i suoi film dei capolavori) ad opinioni estremamente negative, che bocciano completamente la pellicola e tutto il suo lavoro da regista e sceneggiatore.

Old non fa eccezione. Cercando in rete si possono già trovare opinioni completamente discordanti: chi lo ritiene uno dei migliori di Shyamalan, chi lo ritiene un prodotto pessimo di cui non si salva nulla e chi invece sta nel mezzo, salvando qualcosa e bocciando qualcos’altro. Questa recensione si posiziona in quest’ultimo blocco, vediamo perché.

IL SOLITO CARO VECCHIO SHYAMLAN

Come da prassi per la (quasi) totalità dei suoi film, Shyamalan non è soltanto regista ma anche sceneggiatore. Questo si nota già dall’idea alla base della storia, che sfrutta il tempo, meccanica già ampiamente raccontata e sfruttata da numerosissimi prodotti sia letterari sia audiovisivi, ma adattandola ad un contesto nuovo ed intrigante.

I protagonisti della storia sono i componenti della famiglia Cappa, composta dai genitori Guy e Prisca (interpretati magistralmente dai rispettivi Gael Garcia Bernal e Vicky Crieps) e dai due figli Maddox e Trent, che arrivati in vacanza in un resort tropicale si lasciano convincere dal direttore della struttura a visitare, insieme ad altre tre famiglie, una spiaggia nascosta oltre le montagne. Arrivati sul luogo, i personaggi si rendono però presto conto che qualcosa di strano aleggia in quella zona, scoprendo di non poter più tornare indietro e che, rimanendo lì, invecchiano molto più velocemente del previsto.

Questa idea, tanto semplice quanto geniale alla base della pellicola, tratta dalla graphic novel di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters intitolata “Castello di sabbia”, si dimostra in realtà un buon pretesto per mettere in scena una storia nella quale al centro dell’attenzione non è tanto l’isola in sé, quanto come le persone vivono la situazione ed interagiscono tra di loro, obbligandoli a fare i conti anche con i vari segreti che i componenti dei nuclei famigliari si tenevano nascosti tra di loro. Su questo aspetto la pellicola si prende parecchio tempo, forse anche un po’ troppo, permettendo però allo spettatore di conoscere, senza esserne annoiato, tutti i personaggi e riuscendo così ad empatizzare con loro in una situazione così surreale. Non può ovviamente mancare anche qui il classico plot twist alla Shyamalan che, nonostante sia un po’ più telefonato e semplice da intuire rispetto ad altre sue opere precedenti, fa comunque la sua figura e funziona egregiamente.

UN RACCONTO UMANO

Come affermato sopra, i personaggi sono il fulcro della vicenda e questi, oltre che essere scritti con grande cura e minuzia, sono soprattutto ottimamente interpretati. La scelta del cast è stata ottima, su tutti la scelta degli attori per interpretare i bambini/ragazzi che crescono in maniera estremamente rapida durante la storia. Innanzitutto a livello visivo la somiglianza tra gli attori è impressionante (ricorda in questo la cura nella scelta del cast vista nella serie Netflix Dark), permettendo quindi allo spettatore di riconoscere subito il nuovo attore come il personaggio cresciuto e riuscendo a far ulteriormente empatizzare lo spettatore nei confronti dei genitori, che vedono i propri figli cambiare davanti ai loro occhi. Come prova attoriale non si possono non nominare i Maddox e Trent “ragazzi”, interpretati da Thomasin McKenzie e Alex Wolff in maniera superba, riuscendo efficacemente a mettere in scena dei personaggi che crescono troppo velocemente, senza avere nemmeno il tempo di metabolizzare le conseguenze di questa crescita.

A livello registico, la pellicola si attesta su un buon livello. Shyamalan non cerca di innovare la sua regia, continuando quindi ad usare i classici stilemi che lo accompagnano, con molti primi piani e movimenti di macchina molto veloci e fluidi. Se si apprezza la sua regia, in questa pellicola si rimarrà sicuramente estasiati anche dalla fotografia e dalla scenografia del film, che riescono a mettere in scena un vero e proprio paradiso terrestre che si trasforma però presto in un claustrofobico incubo.

CONCLUSIONI

Old  risulta essere nel bene e nel male “il classico film alla Shyamalan”, con un’idea interessante alla base, uno sviluppo dei personaggi molto marcato, con una durata forse un po’ eccessiva. Bisogna però dare merito anche alla scelta attoriale, che eleva la pellicola grazie a delle fantastiche performance sia dei protagonisti principali che dei personaggi più secondari. Se si è detrattori di Shyamalan, questa sarà un’altra volta buona per raccontare al mondo quanto sia un regista ed uno sceneggiatore incapace, mentre i fan troveranno sicuramente un prodotto che ameranno alla follia. Se ci si trova nel mezzo, il consiglio è quello di approfittare della sua presenza nelle sale per recuperarlo e magari farsi una propria idea su questo film a cui si può dire tutto, ma non che sia un qualcosa di già visto e poco originale.

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Mattia Bianconi, Redattore