Nuevo Orden del messicano Michel Franco arriva sui nostri schermi portandosi dietro l’aura del film-caso, il clamore e le accese reazioni divisive – alcune di netto rifiuto – suscitate al Concorso della 77ª Mostra del Cinema di Venezia (dove il film ha comunque vinto il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria). Un’opera che, se non davvero estrema, obbliga col radicalismo teso e feroce della sua messinscena a un forte contrasto di sensazioni di pancia e di testa, finendo per incoraggiare giudizi polarizzati.

Siamo in un lussuoso villone all’aperto di Città del Messico, dove fervono i festeggiamenti per il matrimonio di Marianne Novelo, giovane rampolla di quella che si presume essere una delle famiglie più agiate, potenti e finanche corrotte del Paese. Mentre si assommano piccole ansie, incomprensioni familiari e strani presagi (scorre dell’acqua verdastra dai rubinetti…), l’inaspettata richiesta d’aiuto di un disperato ospite all’esterno e l’improvvisa irruzione alla festa di alcuni soggetti armati scatenano una spirale di eventi incontrollabili, in un furioso crescendo di tensioni sociali.

Franco, fin dall’incipit, cura un fitto e fine lavoro di montaggio fatto di brevissimi flash e frammenti autonomi, ancora non narrativamente intelligibili eppure già spie di un disagio montante e disorientato immediatamente trasmesso allo spettatore. Indugiando su un quadro astrattista alla parete della villa, in un significativo accostamento analogico di immagini, le chiazze e i volumi di colore avviluppati indistintamente sulla tela sono assimilati a una carrellata in plongée sul mucchio informe di cadaveri vilipesi accatastati in un corridoio, rafforzando l’idea centrale dell’ammasso centrifugo di forze impazzite in circolo, della ragnatela di caos endemico e inestricabile che innerva tutto il film.

Lo stile scelto per rappresentare la guerriglia insurrezionale e il ribollire dei disordini non è soltanto quello, di rigore e ormai di maniera, della camera a spalla e del realismo scabro e convulso nel mezzo di un reportage distopico per le strade di Città del Messico (sono dichiarate le influenze del Pontecorvo de La battaglia di Algeri e i sommovimenti sconvolgenti del Costa-Gavras di Z – L’orgia del potere). Spesso, anzi, Franco raggela e inchioda l’azione in alcuni piani sequenza immobilizzati che sotto una fredda luce da obitorio mostrano, senza compiacimento, l’implacabile spietatezza e il sadismo dei rivoltosi nell’inquisizione dei prigionieri.

Non ha troppo senso, a fronte delle numerose ellissi e dell’innegabile ambiguità di alcuni snodi narrativi, accusare il film di confusione ideologica (la generale irresolutezza che può lasciare la visione di Nuevo Orden è semmai da imputare a una gestione episodica della coralità di personaggi e sottotrame non sempre calibrata al meglio).

L’ottica di Franco è quella di sviare dalle barricate militanti e dai parteggiamenti. Slavando ogni coloritura politica o filosofica dall’intreccio – in mezzo a un cupo e fiammeggiante panorama amorfo, si stagliano soltanto il vestito rosso acceso di Marianne e il verdastro acido che fa da liquido catalizzatore dei ribelli. Inquadrando la radiografia di un Sistema al collasso e le sue dinamiche di esercizio del potere non come scontro di grigi apparati impersonali, in nome di principi superiori e massimi sistemi, ma come spinte sotterranee e dirompenti di pure forze pulsionali, di individui che lottano fisicamente per affermarsi e arricchirsi con la sopraffazione corporale, la sevizia e la cattura dell’altro, ma anche per la vita e la custodia degli affetti (la storyline della moglie malata di Rolando). In un regime di homo homini lupus che sembra essere il vero trait d’union strutturale della piramide sociale gerarchizzata.

Volutamente poco empatico e al minimo sindacale nella definizione delle psicologie, Nuevo orden è pessimistico cinema della crudeltà dell’uomo sull’uomo, prima ancora che riflessione sulle storture di un Sistema. Michel Franco si fa largo nell’impeto caotico della massa riversandone il brulicante inconscio collettivo, il lato oscuro della rabbia di un popolo dagli echi universali, nei più biechi istinti repressi del singolo: è questo il senso delle scene di punizione e coercizione sessuale dei paramilitari. In un attualissimo rovesciamento esasperato della lezione di Luis Buñuel (il grande regista spagnolo è amatissimo da Franco), che assume la rivoluzione come atto antiborghese perennemente mancato e incompiuto, un moto circolare senza sbocco che si avvita e ritorce invariabilmente su – e contro – se stesso. E che più cresce d’intensità e ritmo, più si svuota di movente e direzione (come il film stesso?), al pari dei riti pomposi ma sgonfi delle classi dominanti. Il film è distribuito in Italia sulla piattaforma streaming I Wonderfull.

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Daniele Badella, Redattore