Dopo il successo di Qui rido io, Mario Martone torna al cinema tra squilli di tromba: il suo Nostalgia, adattamento del libro omonimo di Ermanno Rea con protagonista Pierfrancesco Favino, è l’unico film italiano ad essere stato selezionato per concorrere al Festival di Cannes.
Favino interpreta Felice Lasco (da adolescente nella parte c’è Emanuele Palumbo), uomo di mezza età originario di Napoli, più nello specifico del Rione Sanità, andatosene giovanissimo su incitamento dello zio. Felice ormai vive da quarant’anni fuori dal proprio paese, tra Medio Oriente e Africa. Tornato per occuparsi della vecchia madre (una commovente Aurora Quattrocchi), Felice inizia ad essere preso dalla nostalgia per la propria terra e per il proprio passato, in particolar modo per il suo compagno d’adolescenza, Oreste (Tommaso Ragno da adulto, l’attore di origini ucraine Artem da adolescente). Ma il suo amico non è più quello che ricordava: ora Oreste è ‘o Malommo, il boss che terrorizza il Rione, e nemico di Don Luigi Rega (Francesco Di Leva), che ha accolto con affetto Felice e lo propone come modello ai giovani napoletani.
NAPULE È
Come nel precedente Qui rido io e come in altri suoi film, Martone gira nella sua terra di origine, Napoli. Se nella sua ultima pellicola, però, si era dedicato a una ricostruzione storica attenta e sontuosa del capoluogo campano dei primi del Novecento, qui si dedica al Rione Sanità, affascinante pur nella sua miseria: i citofoni non funzionano, le famiglie sono costrette a spacciare per sopravvivere e vivono in appartamenti gestiti dalla mafia… persino la pizza, simbolo per eccellenza di Napoli, non è altro che un piatto da offrire ai turisti, che lo mangeranno poi con forchetta e coltello. Tuttavia, sotto la miseria si nascondono magnifiche catacombe e nella corruzione si erge la comunità di Don Luigi, che cerca di portare molti giovani fuori da difficili situazioni familiari, offrendogli un futuro.
Felice diventa fondamentale per gli scopi del prete, il quale, lungi dall’essere integro quanto vuol far credere, lo usa come dimostrazione del fatto che la vita sia possibile fuori da Napoli. Curiosamente, mentre Don Luigi insiste sulla necessità di allontanarsi dal Rione per riuscire ad avere successo, parallelamente il protagonista comincia a provare fascinazione nei confronti della propria città di origine. La “conversione” di Felice, che arriva al Rione quasi come estraneo e lentamente si reintegra, è accompagnata dal ritorno al dialetto napoletano: se inizialmente il protagonista si esprime con un forte accento riconducibile alla sua lunga permanenza all’estero (accento che, nonostante l’interpretazione di Favino, sempre ottimo, risulta a tratti distraente), col passare del tempo tornerà a usare la lingua della sua infanzia. Non è forse casuale il fatto che uno dei primi momenti di ritorno all’uso del dialetto sia quando Felice rievoca un evento traumatico del suo passato, quello che ha causato l’allontanamento dalla propria terra: la lingua è forse una barriera posta inconsciamente per separarsi dal ricordo e dall’uomo che era precedentemente?
“LA CONOSCENZA È NELLA NOSTALGIA…”
Uno dei temi più importanti della pellicola è quello del passato e della sua influenza sul presente. Come la Giancaldo di Nuovo Cinema Paradiso era per il protagonista Salvatore luogo della memoria, uguale a distanza di anni, e al contempo prigione, così la Napoli di Nostalgia dopo quattro decenni è la stessa nella mente del protagonista. La sua immagine riporta a galla ricordi rigettati, positivi e negativi, che lo convinceranno a prolungare la sua permanenza più del necessario.
Il passato viene rievocato con un semplice ma efficace espediente registico: immagini in 4:3 con colori molto vividi che rimandano sia alla tecnica di ripresa del tempo sia alla “luminosità” di questi ricordi nella mente del protagonista. Non per nulla, quando le vicende rammentate si fanno più cupe anche la gradazione dei colori diventa più oscura e al momento traumatico di cui sopra corrisponde un ritorno al formato 16:9.
Protagonista assieme a Felice di queste scene ambientate nel passato è Oreste. L’amicizia tra i due è uno dei pilastri della storia e una delle maggiori influenze per le scelte del protagonista. Il film crea paralleli tra questi personaggi con delle eleganti contrapposizioni di inquadrature che li vedono in situazioni simili ma con effetti diversi, sottolineando la loro vicinanza e, al contempo, come le loro vite abbiano preso traiettorie diverse a seguito di uno stesso momento decisivo. Tuttavia, Oreste non è mai abbastanza approfondito per lasciare un segno: nei ricordi è una nebulosa personificazione della bellezza dell’adolescenza, nel presente un boss dai tratti stereotipati, in entrambi i casi un fantasma più che un personaggio tridimensionale. Con Favino non c’è né il tempo né la chimica per rendere il rapporto tra i due personaggi credibile, pur trattandosi, almeno in teoria, di uno dei pilastri del film.
Altri rapporti interpersonali, in Nostalgia, risultano ugualmente poco sviluppati, in particolar modo quello tra il protagonista e la moglie, un personaggio che esiste solo in funzione del marito. Ma d’altronde, il film riguarda, come da titolo, la nostalgia e non l’attualità, nostalgia attraverso cui Felice legge il proprio presente in una pratica pericolosa e ingenua che ne influenzerà inevitabilmente il futuro. Forse la scelta di non far mai intervenire direttamente la moglie di Felice né, più in generale, persone non legate a Napoli e alla sua adolescenza, sta a significare che non c’è spazio per il presente, in un mondo dominato dal passato?
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