Nonostante, il nuovo film diretto da Valerio Mastandrea, ha inaugurato la sezione Orizzonti della 81° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Scritto a quattro mani con Enrico Audenino, il film racconta di un uomo (interpretato dallo stesso Mastandrea) ricoverato in ospedale, che trascorre le giornate a girovagare serenamente per i reparti, chiacchierando con gli altri pazienti quel tanto che basta a mantenere vivi i rapporti sociali. L’equilibrio di questa monotonia viene però turbato dall’arrivo di una donna nello stesso reparto.
La presenza del film in Orizzonti ha contribuito a creare delle aspettative nei suoi confronti, in quanto questa sezione si dedica alle nuove tendenze artistiche ed espressive del cinema mondiale, e nel corso degli anni diversi film si sono fatti notare proprio per il loro carattere esotico e un piglio del tutto estraneo alle più comuni abitudini cinematografiche. Sfortunatamente dal film di Mastandrea faticano ad emergere elementi di particolare interesse, affidandosi esclusivamente al plot come unico motore dell’intera narrazione.
L’idea di rendere uomini e donne in stato di coma spettatori passivi del mondo, inevitabilmente, ricorda gli angeli de Il cielo sopra Berlino – riferimento mai esplicitato, ma difficile da ignorare. In ogni caso, questo concetto avrebbe potuto costituire un punto di partenza per esplorare le psicologie dei personaggi e le diverse implicazioni della loro condizione, oltre ad offrire l’opportunità di affrontare una tematica particolarmente delicata che permetterebbe al film di occupare orgogliosamente un posto in Orizzonti. Purtroppo questo approfondimento non è presente: sono solo accenni di qualcosa che avrebbe avuto più senso raccontare al posto di una storia d’amore non particolarmente appassionante e di cui conosciamo l’esito in anticipo.
A disinnescare ulteriormente il coinvolgimento emotivo è la continua e ossessiva ricerca proprio dell’emotività che il film vorrebbe suscitare nello spettatore. Viene difficile pensare di immedesimarsi in dei personaggi bidimensionali, sostanzialmente inattaccabili, il cui unico difetto è quello di essere un po’ nervosi di tanto in tanto. Gli infiniti tentativi di realizzare una sequenza che possa essere in grado di colpire lo spettatore dritto al cuore si risolvono in un’inevitabile perdita di qualsiasi tipo di verosimiglianza delle personalità e delle dinamiche che si instaurano tra i personaggi, a partire da dei dialoghi talmente melensi e carichi di solennità da risultare irreali, quando non addirittura ridicoli.
Il racconto si trascina, perciò, forzatamente, senza tentare mai di uscire da un percorso già tracciato da altri film. Pur non essendo di per sé un difetto, è sconfortante vedere come Nonostante scelga in ogni momento di prendere la soluzione più anonima e inflazionata pur di non assumersi alcun tipo di rischio, quasi come se Mastandrea fosse disinteressato, o addirittura inconsapevole, del potenziale contenutistico del proprio soggetto. Le musiche suggestive di Tóti Guðnason provano, di tanto in tanto, ad essere un elemento di originalità, ma il loro utilizzo è, ancora una volta, finalizzato alla pura e semplice ricerca dell’impatto emotivo.
Sono quindi l’indifferenza e la passività generale i peggiori difetti di un film che risulterebbe semplicemente modesto, se non fosse così evidente la scelta di evitare di proposito determinate questioni. Infatti, sembra assolutamente inverosimile che nel 2024, in un film in cui tutti i personaggi sono in coma e pienamente consapevoli della loro condizione, nessuno accenni anche solo di sfuggita alla questione dell’eutanasia. Non si chiede certo al regista di farsi portavoce di questa battaglia, ma la totale assenza di questa tematica non fa che amplificare la mancanza di qualsiasi tipo di ideale che conferirebbe al film quella umanità che tanto artificiosamente ricerca.
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