Negli ultimi anni, in seguito alla rinascita del cinema italiano di genere, diversi giovani registi si sono affacciati nel panorama cinematografico del nostro paese. Tra questi troviamo Andrea De Sica, nipote di Vittorio De Sica, che dopo alcuni lavori come assistente volontario per Bertolucci in The Dreamers e assistente alla regia per Özpetek e Marra, abbiamo potuto osservarlo direttamente dietro la macchina da presa come regista per la serie Netflix Baby  e per il film I figli della notte del 2017.

Ritornando al lavoro insieme all’attrice protagonista della serie Netflix Alice Pagani, De Sica si cimenta durante questo 2021 nella regia di una fiaba dark fantasy con elementi horror e dai toni che richiamano molto lavori come Twilight  (Catherine Hardwicke, 2008) o la serie tv Shadowhunters, cercando di proporne una versione in salsa nostrana.

Alice Pagani e Rocco Fasano in una delle prime scene del film

La trama segue le vicende della protagonista Mirta (Alice Pagani), la quale assieme al fidanzato Robin (Rocco Fasano) incontra la morte in quello che sembra essere un tragico incidente. Tuttavia,  poche ore dopo, torna magicamente in vita dotata di una forza sovrumana e con la necessità di cibarsi di carne umana: è diventata un Sopramorto. Oltre al dover affrontare questi cambiamenti, la perdita del proprio amato e una veloce ma necessaria crescita verso il mondo degli adulti, Mirta si ritroverà ad affrontare anche una setta di cacciatori di mostri, chiamati Benandanti.

L’intento del film che si può evincere già dai primi minuti è quello di voler creare un teen drama con diversi elementi da film horror. Tuttavia, se qualcuno si aspetta di trovare un valido film di questo genere rimarrà dolorosamente scottato. Nonostante gli intenti, infatti, il film non riesce mai a proporre delle scene veramente paurose, fermandosi sempre un attimo prima, forse cercando di evitare di essere “troppo spaventoso” visto anche il target preadolescenziale che cerca di attirare. Il senso di inquietudine è infatti soltanto un’esca che il film usa per mettere in scena il dramma adolescenziale del passaggio verso la vita adulta, vista in chiave dark fantasy.

Gli elementi migliori del film sono da trovare nel lato tecnico: la regia, anche se non strabiliante, riesce a mettere in scena le vicende in modo pulito ed elegante, aiutata da una fotografia molto curata che, assieme alle musiche azzeccatissime, riesce a creare la giusta atmosfera ed i giusti ambienti. Inoltre il film sfrutta l’alternanza giorno/notte non per mostrare il passaggio del tempo, bensì nell’uso di flashback, risultando così molto chiaro ma al tempo stesso funzionale. Le scene più chiare e limpide, dunque, illuminate dalla luce del sole sono infatti tutti flashback, nei quali il regista ci mostra la vita di Mirta prima della sua morte, mentre le scene nel presente con la Mirta “zombie” sono spesso ambientate di notte e presentano una fotografia più fredda, caratterizzata spesso dall’utilizzo del colore azzurro e del grigio.

Il problema più grande del film risulta essere però proprio la sceneggiatura. Nonostante un soggetto interessante, il film non riesce in realtà a mettere in scena nessun elemento nel modo giusto. Oltre alla componente horror appena accennata, anche le parti più drammatiche e di crescita del personaggio sono abbastanza vuote ed inconcludenti. La protagonista accetta in maniera estremamente rapida e, di conseguenza, assurda il fatto di essere diventata un Sopramorto e di doversi cibare di esseri viventi. Questo personaggio, dunque, non presenta nessun percorso, perché cambia repentinamente all’inizio del film per poi rimanere sulla stessa linea retta per tutto il film. La guerra tra Sopramorti e Benandanti è poi soltanto accennata, senza fornire delle vere motivazioni per cui i personaggi delle due fazioni si comportano in un certo modo. Fazioni che, tra l’altro, sono estremamente anonime: i “mostri” sono soltanto un paio ed oltre a sapere che si devono cibare di persone ancora vive non si sa altro: con quale criterio si diventa Sopramorti, cosa comporta veramente ciò, da quanto tempo esiste questo concetto e perché? In più, la setta dei cattivi non utilizza armi particolari e non indossa divise riconoscibili, sono semplicemente uomini in felpa e jeans che utilizzano banali armi da fuoco.

Nemmeno la gestione degli altri personaggi riesce a risollevare la situazione. Il personaggio di Robin, oltre ad essere recitato in maniera abbastanza pessima da un Rocco Fasano che finisce spesso per mangiarsi le parole e nonostante abbia un ruolo importante ai fini della trama, risulta essere (viene quasi da pensare in maniera voluta) un novello Edward Cullen, con l’aggravante però di scomparire per quasi tutto il film e di non riuscire poi a fare assolutamente niente.

Il cattivo del film (il capo dei Benandanti interpretato da Fabrizio Ferracane) con il suo vestito elegante, il bastone e le scarpe da ginnastica non riesce ad andare oltre la presenza scenica vista la mancanza di una vera motivazione per le sue sadiche azioni, che risultano quindi quasi fini a se stesse. In maniera simile è così anche il personaggio di Sara, la “mentore” di Mirta interpretata da una Silvia Calderoni che, tolte le brevi sequenze d’azione, non riesce a dare un’impronta personale al personaggio che sembra soltanto un anonimo vampiro. Ma la cosa che più fa male è vedere il personaggio di Giacomo Ferrara (Ago) venire inserito a forza nel bel mezzo delle vicende per poi farlo uscire dieci minuti dopo in maniera ignobile ed insulsa: nemmeno la sua recitazione riesce a salvare il suo inutile personaggio.

L’unica cosa che mi sento di salvare in questo ambito è la recitazione di Alice Pagani, che punta molto sulla presenza scenica prima che sui dialoghi e ciò funziona, con una buona mimica facciale e delle movenze studiate ed accurate per ogni situazione. Ottime anche le scene action in cui recita senza stuntman e con le quali dimostra ancora una volta il concetto espresso sopra.

In conclusione, Non mi uccidere è un progetto con un’idea interessante e con una cura registica, fotografica e musicale azzeccata, ma che fallisce miseramente nel suo modo di raccontare una storia. Che sia l’elemento più horror o più teen drama, il film non riesce infatti a trovare un giusto equilibrio e la fallace scrittura dei personaggi e dell’ambiente in cui le vicende si svolgono non aiuta di certo. Viene quindi da chiedersi quanto sarebbe interessante rivedere ancora Andrea De Sica alla regia di un prodotto di questo tipo, magari questa volta però con una storia più curata.

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Mattia Bianconi, Redattore