Con un budget di soli 140 000 $ ed un cast risicato, si presentava nelle poche sale che ancora non l’avevano bandito per la troppa violenza un film che sarebbe poi entrato nella storia del cinema: era l’anno 1974 e la pellicola era The Texas Chainsaw Massacre di Tobe Hooper. Fu immediatamente un successo commerciale, guadagnando 200 volte il budget di produzione e dando origine al sottogenere horror dello slasher, che avrebbe poi avuto il suo periodo d’oro nei successivi anni ’80 e ’90. Una pellicola che vista oggi fa effettivamente riflettere in merito alle accuse dell’epoca per l’eccessiva violenza, soprattutto paragonata a film più recenti come gli Hellraiser o la saga di Saw e che, forse, disturba maggiormente per le tematiche trattate e per come vengono messe in scena, piuttosto che per la limitata quantità di sangue, se paragonata ai film a cui siamo abituati oggi.
Un successo che, come per tutti gli slasher del periodo, portò alla nascita di tre sequel diretti, di cui il primo diretto dallo stesso Hooper nel 1986 – ma con una chiave più dark comedy rispetto all’horror puro del primo capitolo – successivamente uno nel 1990 e l’ultimo nel 1994, per la regia rispettivamente di Jeff Burr e Kim Henkel. Si tratta in tutti e tre i casi comunque di sequel poco apprezzati e che non riuscirono ad avere lo stesso successo del capostipite. La produzione arrivò quindi a creare due reboot: uno nel 2003 diretto da Marcus Nispel, che ottenne un discreto successo, tanto da portare alla creazione di un prequel che invece non andò altrettanto bene, portando alla cessione dei diritti alla Twisted Pictures che realizzò un secondo reboot dal nome Texas Chainsaw 3D che si pose contemporaneamente anche come sequel del primo capitolo. Anche in questo caso non si può comunque parlare di grossi successi commerciali, a cui si aggiunge lo sfortunato Leatherface (Bustillo e Maury, 2017) che tentava raccontare il passato dell’iconico villain ma falliva su numerosi fronti, ottenendo pareri contrastanti dalla critica.
Questa una doverosa introduzione, per capire al meglio come si sia arrivati al 2022, con i diritti della saga in mano a Netflix ed all’uscita del nono capitolo della saga, affidato alla regia di David Blue Garcia con un soggetto di Fede Álvarez e Rodo Sayagues. Saranno riusciti a riportare adeguatamente in vita il mito dello spaventoso Faccia di cuoio?
LA FAVOLA DEL REQUEL
Con ben poca fantasia, questo film si pone come sequel diretto del primo capitolo uscito nel ’74 e non prendendo quindi in considerazione nessuno dei successivi sequel, in maniera molto simile a quanto fatto da Halloween uscito nel 2018. Sulla stessa scia (quasi ai limiti del plagio) il film presenta, infatti, un gruppo di nuovi giovani imprenditori che cercano fortuna nel selvaggio Texas, finendo per risvegliare dopo 50 anni la furia di Leatherface ed attirando l’attenzione della originale final girl Sally Hardesty (a cui purtroppo non ha potuto riprendere il ruolo l’originale Marilyn Burns, recentemente scomparsa).
Con un rapidissimo riassunto dei fatti dell’originale ad inizio film, presentato in maniera citazionistica, questa nuova pellicola sembra voler abbozzare diverse critiche alla società odierna americana (episodi di violenza e stragi nelle scuole, inno all’arcaico suprematismo bianco) ma il tutto risulta praticamente abbozzato e relegato a pochi minuti di pellicola, lasciando spazio alla violenza, qui portata agli estremi dello splatter puro e che, sicuramente, dividerà nettamente gli spettatori tra chi detesterà la violenza gratuita e chi invece apprezzerà l’innegabile divertimento di alcune sequenze (in maniera molto simile a quanto visto con Halloween Kills uscito lo scorso Ottobre).
Il problema principale è che questa scelta splatter risulta, in realtà, totalmente fine a sé stessa: la sceneggiatura sembra scritta con svogliatezza e mancanza di ingegno, con personaggi piatti e banali, portando lo spettatore a sperare che la loro morte sia il più vicina possibile.
LA FIERA DEL GIÀ VISTO
Altro punto dolente, quindi, è la scrittura dei personaggi e i più importanti non fanno eccezione: Per Sally Hardesty, infatti, risulta forse eccessivo parlare di scrittura, visto lo screentime ridottissimo e il comportamento incomprensibilmente stupido che va a distruggere completamente la sua figura. Per Leatherface invece il problema sta nell’averlo qui reso una vera e propria macchina da guerra: oltre infatti ad uccidere quasi per il gusto di farlo, utilizza tattiche e trucchetti degni dei più grandi strateghi militari e condendo il tutto con un’agilità che distrugge completamente quel goffo e problematico omone sfruttato dalla pazza famiglia nel capostipite (famiglia che nemmeno viene nominata, alla faccia del sequel diretto).
Unico punto in cui il film si rialza è la regia. Lontani anni luce da quelli di Hooper, Garcia riesce comunque a mettere in scena scorci per lo meno interessanti ed in alcuni casi anche ispirati (su tutti la scena del campo di girasoli e lo scontro finale), affiancato da una fotografia che “svolge il compitino”, ma che si ritrova i proverbiali bastoni tra le ruote a causa della già citata pessima sceneggiatura, rendendo anche le sequenze visivamente migliori la fiera delle banalità. Dispiace comunque un po’ che il film sia approdato direttamente su Netflix, in quanto una visione in sala lo avrebbe, perlomeno, reso più interessante (anche se di poco).
CONCLUSIONI
Questo Texas Chainsaw Massacre è come il Faccia di cuoio del film originale, goffo e stupido, a cui però manca l’elemento fondamentale: il creare spavento. Con una sceneggiatura banale e prevedibile, la pellicola mette in scena forse il sequel peggiore di tutta la saga, che nemmeno la buona regia di David Blue Garcia riesce a sollevare. Un film che si consiglia quindi solo ai più accaniti fan della saga oppure a chi vuole soltanto farsi due risate in compagnia. In breve, una grande occasione sprecata.
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