Il cinema ci ha insegnato presto ad avere paura dell’acqua o, per meglio dire, a temere ciò che si può nascondere in essa. Già tra i grandi mostri classici della Universal troviamo, tra i più “recenti”, Il mostro della laguna nera datato 1954, ma è del 1975 il cult per eccellenza quando si parla di horror marittimi: stiamo ovviamente parlando de Lo squalo di Steven Spielberg. Potremmo citare tante altre pellicole, come quel Piraña Paura (1981) a cui lavorò anche un esordiente James Cameron che tornò in acqua pochi anni dopo con The Abyss (1989), oppure The Bay (Barry Levinson, 2012) che sperimentava con la formula del foundfootage. La lista sarebbe vasta, ancor di più tenendo conto di quelle pellicole che contengono soltanto qualche sequenza ambientata in acqua.

Assodato come l’acqua possa effettivamente fare paura, all’annuncio di una pellicola che ruota attorno a quella che sembra essere una “piscina assassina” i dubbi sorgono comunque quasi in automatico. Una premessa interessante ma rischiosa al tempo stesso, in cui a seconda della bravura di registi e sceneggiatori ci si può trovare davanti ad un instant cult oppure ad uno di quei film già dimenticati a poche ore dalla visione. Purtroppo, Night Swim fa parte di questa seconda categoria.

Non riempire gli spazi

Come già visto di recente nella nostra penisola con Home Education – Le regole del male, l’idea per l’esordio cinematografico di Bryce McGuire è quella di adattare, occupandosi sia della regia sia della sceneggiatura, il suo omonimo cortometraggio del 2014, un prodotto che riusciva nel limitatissimo minutaggio a costruire, con una struttura comunque abbastanza classica, una buona tensione.

La famiglia Waller, dopo il ritiro forzato di Ray (Wyatt Russell) dalla sua carriera di battitore in seguito ad un infortunio, è alla ricerca di una nuova abitazione in cui sistemarsi e la scelta ricade su una casa con piscina alimentata da una sorgente sotterranea, così che possa essere sfruttata per la fisioterapia. In maniera quasi magica, la piscina sembra portare ad una miracolosa guarigione di Ray mentre il resto della famiglia comincia a essere tormentata da inquietanti visioni ogni volta che si tuffano in piscina.

Come spesso accade per questo tipo di prodotti, il problema principale nasce proprio dalla necessità di “riempire gli spazi”, ovvero di approfondire quegli elementi che fanno da contorno all’idea già proposta nel cortometraggio. Questo, purtroppo, non viene svolto dal film nel migliore dei modi, facendo sì che risulti quasi impossibile empatizzare con i quattro componenti della famiglia – di cui l’unico minimamente approfondito è il padre Ray, che tuttavia finisce presto per diventare macchiettistico – poiché protagonisti di dialoghi spesso banali e di scene d’orrore poco impattanti che non ci portano mai a temere troppo per la loro incolumità.

Horror da domenica pomeriggio

Che molti film horror ci abbiano abituato a vedere i personaggi come mera carne da macello è indubbio, ma cosa succede se un pericolo che dovrebbe essere mortale si rivela in realtà quasi l’opposto? La risposta è una: si perde tutta la paura. Se di per sé la scelta di una “piscina assassina” può risultare fin da subito un po’ assurda – oltre che meno spaventosa di un mare pieno di piraña per esempio – le possibili applicazioni potevano portare a risultati tutto sommato interessanti, fossero esse su un versante più investigativo, onirico o demoniaco. La scelta rimane invece delle più banali e scontate: entrare in acqua porta alla visione di strane ombre che hanno il solo scopo di distrarre dal vero mostro – dal design di una banalità disarmante – che tenta di catturare la propria vittima per portarla in un “mondo subacqueo parallelo”, ma basta uscire dalla piscina ed il dado è tratto, il mostro non avrà poteri su nessuno. O quasi, visto che sul finale viene introdotto un concetto di simil-possessione per cercare di creare un minimo di tensione in più, tentativo comunque piuttosto vano e che poco riesce a ribaltare rispetto a un destino cinematografico già segnato.

La messa in scena di McGuire mostra anche qualche idea tutto sommato interessante, soprattutto nell’uso dei giochi di luce e in alcuni movimenti di macchina atti a costruire un minimo di tensione nei momenti più concitati, ma finisce per crollare nella scelta di relegare la risoluzione di tutte le sequenze d’orrore a banali jumpscare. Il cast, nonostante sia composto da attori di una certa nomea come Wyatt Russell, Kerry Condon o il piccolo Gavin Warren, non riesce a risollevare un film già condannato al fallimento in sede di sceneggiatura, mentre a uscire a testa alta è la colonna sonora, curata da Mark Korven – già collaboratore della Blumhouse per The Black Phone – e che presenta sonorità in grado di creare un certo grado di tensione.

Conclusioni

Con Night Swim, esordio sul grande schermo di Bryce McGuire prendendo ispirazione dal suo cortometraggio omonimo, la Blumhouse porta in sala una pellicola scontata, banale e priva di guizzi sia narrativi che estetici. Senza alcun interesse a proporre una narrazione un minimo sfaccettata e con un comparto horror che si limita ai più banali jumpscare, il film si come un banalissimo horror capace forse di intrattenere un pubblico di giovanissimi (ricordiamo che non presenta nessun limite di età per la visione in sala) ma che per il resto degli spettatori non rappresenterà altro che 90 minuti di cui già ci si dimentica a visione appena conclusa.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.