All’interno del panorama horror capita spesso che dei registi non anglofoni entrino in produzioni americane per posizionarsi dietro la macchina da presa. Un esempio recentissimo può essere individuato in Fede Alvarez, sbarcato in sala nel mese di agosto con il suo Alien Romulus, ma anche Alfonso Gomez-Rejon con il suo remake/sequel di The Town That Dreaded Sundown del 2014, Erlingur Thoroddsen con The Piper o André Øvredal, che conta all’attivo numerose pellicole capaci di ritagliarsi, nel tempo, una nicchia di appassionati.

Tra questi non può che spiccare il nome di Alexandre Aja, regista francese che si fece conoscere dal pubblico con lo slasher ormai culto Alta Tensione nel 2003, tanto da spianargli la strada come regista de Le colline hanno gli occhi, remake del 2006 della pellicola di Wes Craven da diversi ritenuta addirittura superiore all’originale. Continua poi la scia di remake con Mirrors e Piranha 3D, riprendendo rispettivamente dal cinema sudcoreano e dal b-movie di Joe Dante.

Continua quindi la sua produzione di pellicole, con un Crawl – Intrappolati del 2019 definito da Quentin Tarantino come “uno dei suoi film preferiti dell’anno” ed un Oxygen due anni dopo che vedeva come protagonista assoluta Mélanie Laurent in un pregevole thriller/horror fantascientifico uscito purtroppo direttamente sulle piattaforme. Bisogna infatti attendere questi giorni per vedere finalmente il ritorno di Aja sul grande schermo e ciò avviene con Never Let Go (accompagnato in Italia dall’immancabile sottotitolo “A un passo dal male”) e che vede protagonista Halle Berry in un horror abbastanza diverso rispetto a quanto il regista ci avesse abituato fino a questo momento.

Parenti serpenti

Ciò che Never Let Go ci racconta nei primi minuti non sembra certo essere una novità: in un mondo post-apocalittico – o apparentemente tale – una madre vive assieme ai due figli pre-adolescenti Nolan e Samuel in una casa in mezzo ad una fitta foresta. Elemento peculiare di questa vicenda è la necessità di esplorare l’esterno rimanendo sempre cinti da una corda legata alla casa, impedendo così al Male che ha distrutto il mondo di prendere anche loro. Ma sarà tutto vero? Questo Male esiste davvero? Il mondo è veramente finito? Tutte queste domande non se le pone soltanto lo spettatore – soprattutto se figlio della visione di pellicole come il The Village di Shyamalan o il nostrano Shadows per la regia di Carlo Lavagna – ma anche Nolan che, a differenza del fratello Samuel, fatica a credere ciecamente a quanto detto dalla madre.

Fin da subito in realtà il film mostra degli elementi soprannaturali, con strani suoni che provengono dagli alberi e figure deformi quasi zombesche, che però scopriamo presto venir percepite soltanto dalla protagonista generando così un ulteriore senso di dubbio riguardo alla vera natura di questo male: che non si tratti quindi di un male ultraterreno bensì piuttosto di una malattia mentale? Per buona parte della pellicola le risposte non arrivano, o per meglio dire vengono donate allo spettatore con il contagocce riuscendo, in questo modo, a mantenere sempre costante l’interesse nei confronti del procedere delle vicende e mantenendo costantemente alta la tensione. Anche la casa stessa – qui ribaltamento del classico concetto della “casa infestata”, essendo l’unico luogo in cui i protagonisti sono al sicuro – con l’incedere del dubbio nella mente dei protagonisti – e dello spettatore insieme a loro – perde questo fattore di sicurezza.

La rottura di tutto ciò che dovrebbe essere dato per scontato sembra essere infatti il centro della pellicola: l’amore di una madre verso i figli, ai quali non mentirebbe mai, e la sicurezza delle mura domestiche sono concetti che cominciano a sgretolarsi con il procedere delle vicende, rendendo così il film ciò che un horror dovrebbe spesso puntare ad essere: un insegnamento che parla di realtà attraverso elementi di finzione. Una storia che quindi si avvicina molto più alle dark fairytales, a quelle fiabe gotiche vicine ai fratelli Grimm il cui scopo era spaventare i bambini per trasmettere loro un insegnamento.

Il male minore

Occorre ammettere come non sia tutto oro quello che luccica e, nonostante il film dimostri delle intenzioni genuine ed ammirevoli, ciò che arriva al cinema è una pellicola che rischia di lasciare delusa una buona fetta di pubblico. Questo perché le ottime tematiche presentate ed il costante senso di dubbio che la storia vuole mantenere per tutta la pellicola portano alla stesura di un racconto a tratti forse banale, dove ciò non necessita per forza un’accezione negativa ma che può portare ad una cattiva ricezione di alcuni momenti chiave, finale su tutti. Questo proprio perché il non voler dare una risposta definitiva a certi elementi chiave finisce per necessitare la coesistenza di più concetti che, se in un primo momento risultano utili proprio per generare il dubbio nello spettatore su chi sia il vero male della storia, con il procedere delle vicende finisce per creare un certo senso di incompiutezza che lo spettatore riempie, inevitabilmente, con quanto da lui già visto o conosciuto, generando quindi quel “già visto” che, di fatto, la pellicola non presenta.

Perché è vero che ad una prima occhiata sembra di vedere il fratello gemello di quel The Watchers (Ishana Night Shyamalan, 2024) uscito pochi mesi fa, ma proprio nel confronto tra le due pellicole ci si rende conto di come Never Let Go ne esca decisamente vincitore. Tutto ciò che concerne infatti l’elemento horror funziona qui alla grande: la colonna sonora a cura di ROB, caratterizzata da sonorità che ricordano molto da vicino quanto fatto da Christopher Young per Sinister, costruisce perfettamente l’atmosfera sia nei momenti più tranquilli e dolci che in quelli più inquietanti e spaventosi, aiutata inoltre da un comparto sonoro davvero ottimo, con un’attenzione quasi maniacale sui minimi rumori tra passi, scricchiolii del legno, gracidii delle rane e sibili dei serpenti; le scenografie ed i costumi, assieme alla fotografia, costruiscono ambientazioni davvero suggestive, malinconiche ma ricche di fascino; i mostri, presenti fin da subito ed in maniera quasi sorprendentemente marcata, si presentano con un aspetto semplice ma efficace, grazie soprattutto ad un ottimo trucco e ad alcune scelte di design – lingua e occhi serpentini su tutto – davvero spaventose.

Ad amalgamare tutto questo c’è un’ottima regia da parte di Aja, che dimostra di sapersi allontanare da una comfort zone fatta di gore e splatter creata con le pellicole precedenti in favore di sequenze più improntate ad un terrore psicologico, che si manifesta comunque in alcune scene ricche di spunti visivi. Dulcis in fundo non può che essere quindi il comparto attoriale, caratterizzato come da programma da un numero estremamente ridotto di attori che si dimostrano qui davvero eccezionali: sorprende poco il premio Oscar Halle Berry che, nonostante alcune scelte infelici in merito ad alcuni ruoli, aveva già dimostrato la propria bravura in precedenza e che qui rimarca le sue doti; sono invece i giovanissimi Anthony B. Jenkins e Percy Daggs IV a dimostrare una bravura incredibile nel reggere quasi l’intero film sulle proprie spalle, manifestandosi come papabili giovani promesse.

Conclusioni

Il ritorno di Alexander Aja lascia da parte il gore e lo splatter in favore di un Never Let Go che, pescando da un immaginario collettivo ormai abbastanza ampio, costruisce quella che potrebbe tranquillamente essere definita come una fiaba moderna. Fulcro infatti sono le tematiche di famiglia e casa, di riuscire a prendere decisioni anche difficili, di capire cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è il bene e cos’è il male; tutto questo la pellicola li propone in una storia intrisa di tensione ed in cui il dubbio permane dall’inizio alla fine, riuscendo da un lato a mantenere l’interesse costante ma arrivando poi ad un finale che, restio dal fornire molte risposte, rischia di scontentare numerosi spettatori.

Ad addolcire la pillola si presenta però tutto il comparto tecnico, da un sonoro fantastico, passando per le ambientazioni suggestive fino all’ottima regia di Aja che costruisce ottimi momenti di tensione. Vera ciliegina sulla torta sono però le ottime interpretazioni del cast in cui si intravedono due possibili promesse del cinema black.

Never Let Go non è un horror che rivoluziona, ma nonostante questo mette in scena una di quelle storie che, con i suoi problemi ma anche con i suoi picchi, ti appassionano, rimangono con te anche a visione conclusa e ti lasciano con il desiderio di vederne ancora.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.