Portare un videogioco al cinema non è sicuramente un compito facile. In molti hanno provato (vedi Silent Hill di Christophe Gans, 2006, Doom di Andrzej Bartkowiak, 2006, o la saga di Resident Evil  di Paul W.S. Anderson per citarne alcuni tra i più famosi), ma la maggior parte ha fallito. Si trattava infatti di prodotti mediocri, spesso con budget limitati e che non riuscirono ad essere apprezzati né dalla critica specializzata né dal pubblico più generalista, arrivando, talvolta, a diventare dei cult. E’ il caso anche del primo adattamento del franchise di Mortal Kombat, uscito nell’ormai lontano 1995 e diretto dal già citato Paul W.S. Anderson: un film limitato soprattutto dal budget molto ridotto e dalla tecnologia dell’epoca, che portarono alla creazione di un prodotto estremamente insufficiente e pieno di problemi, diventato però un “guilty pleasure” per molti fan della serie, che continuano a ritenerlo ancora oggi un pezzo da non dimenticare della storia del marchio MK.

A 26 anni di distanza da quel film, Warner Bros assieme a James Wan e New Line Cinema ha deciso di riprovarci, portando alla creazione di una nuova trasposizione del videogioco, che proprio nella scorsa generazione videoludica ha conosciuto una rinascita con il nono capitolo (e reboot della serie) uscito nel 2011 e, soprattutto, il grande successo riscontrato dall’undicesimo capitolo uscito l’anno scorso. Con Simon McQuoid alla regia e Greg Russo e Dave Callaham alla sceneggiatura, il film ha raggiunto in contemporanea le sale ed HBO Max nel mese di Aprile, per poi sbarcare in Italia il 30 Maggio.

FIGHT!

Il film comincia con un prologo estremamente esplicativo del tipo di prodotto che lo spettatore sta per guardare. L’abitazione di Hanzo Hasashi viene infatti attaccata da alcuni uomini del clan rivale, il Lin Kuei, con la risultante della morte di tutti i membri del clan Shirai Ryu, compresa la famiglia di Hanzo, morta congelata. Arrivato sulla scena, il ninja riesce ad eliminare in maniera estremamente violenta e splatter diversi rivali, soccombendo però al loro capo Bi Han, capace di controllare e creare armi di ghiaccio. Dal Giappone feudale la scena si sposta poi nel presente, dove il protagonista Cole Young, portatore di un marchio a forma di testa di dragone, si ritrova obbligato ad addestrarsi ed a combattere guerrieri con abilità sovrumane, in quanto prescelto per combattere nel Mortal Kombat, un mortale torneo tra regni.

Anche cercando di riassumere e semplificare il più possibile, la trama risulta particolarmente confusa, complice il fatto di essere nata come pretesto per combattimenti estremamente gore in cabinati arcade e di essersi poi espansa successivamente, portandosi però dietro diversi problemi e buchi di trama. All’interno del film questo aspetto pesa parecchio. La struttura narrativa, che ad una semplice occhiata può sembrare semplice risulta invece inutilmente complicata e contorta, portando anche lo spettatore più attento a confondersi. Inoltre il protagonista, creato da zero per film, risulta un personaggio abbastanza piatto, che non riesce mai a emergere affiancato ai vari personaggi secondari, complice anche la scelta di un attore espressivamente anonimo e uno stile di combattimento che risulta troppo classico e banale.

IL PARADISO DEI FAN (O QUASI)

Nonostante nel film manchino diversi personaggi famosi del videogame, la maggior parte dei protagonisti dei capitoli principali sono presenti. Inoltre sono proposti con estrema cura sia per i costumi sia per i “moveset”, quasi identici a quelli presenti nei videogiochi. Vedere sullo schermo personaggi come Scorpion, Sub Zero, Kung Lao e Liu Kang sono, per un fan, un vero spettacolo. Ugualmente non si può invece dire per i personaggi meno conosciuti: se Kabal, Jax o Kano sono curati quasi ai limiti della perfezione, personaggi come Reptile, Mileena o Reiko hanno subito un forte restyling rendendoli completamente diversi dagli originali, facendogli perdere tutto il loro fascino.

Il cuore di Mortal Kombat sono però sempre stati i combattimenti estremamente splatter ed eccessivi. Può sembrare cosa semplice da trasporre al cinema, abituati come siamo alla visione di film cruenti, ma così non è. Nel videogioco un personaggio può venire colpito alla testa da un gigantesco martello, per poi rialzarsi subito dopo come se niente fosse, con la barra dei punti vita unica vittima dell’accaduto; una cosa di questo tipo non può essere inserita all’interno di un prodotto cinematografico. Anche qui il film riesce a risultare molto godibile e divertente, con combattimenti lunghi ma appaganti e divertenti che spesso si concludono con le sanguinolenti Fatality che hanno reso famoso il franchise, anche queste trasposte con molta fedeltà e cura.

Il film è inoltre pieno di riferimenti che soltanto i fan potranno notare. Da veri e propri Easter Eggs a citazioni di frasi celebri del gioco che, per mantenersi tali, non sono state tradotte nell’adattamento in lingua italiana. Fioccano quindi frasi come “Fatality!” o “Finish Him!”, passando per la celebre frase finale di ogni scontro qui  pronunciata da Kano “Kano Wins”  fino alla famigerata “Get Over Here!” di Scorpion; si consiglia comunque di guardare, se possibile, il film in lingua originale soprattutto per apprezzare ancora di più la scelta attoriale e la corretta pronuncia dei nomi dei combattenti.

NON E’ TUTTO ORO CIO’ CHE LUCCICA

Chiusa questa parentesi estremamente positiva, ci sono altri due punti di cui bisogna parlare. Il primo riguarda proprio il Mortal Kombat, il torneo che dà il nome al film. Se nel capostipite videoludico e nella trasposizione del 1995 si trovava, giustamente, al centro della vicenda, qui viene relegato ai margini, fungendo quasi esclusivamente come incipit della vicenda, togliendogli quindi tutto il fascino di quel macabro torneo che dovrebbe invece essere al centro della trama. Se per un fan può essere un dispiacere più che un problema, così però non è per lo spettatore generico, il quale si ritroverà spesso confuso soprattutto sul funzionamento e le regole della competizione in questione, che vengono semplicemente esposte da alcune linee di testo (anche particolarmente vaghe e criptiche) subito dopo l’apparizione del titolo.

Altro punto debole è l’inserimento del marchio del dragone, non presente nei videogiochi. In quest’ultimi chiunque può combattere nel torneo e i giusti addestramenti permettono di imparare alcune tecniche, sempre se non si fa parte di una dinastia di “magici guerrieri”. Nel film invece soltanto chi ha il marchio può partecipare e, se non lo acquisti per diritto di nascita, puoi ottenerlo soltanto uccidendo qualcuno che lo possiede. Inoltre, soltanto se si possiede questo marchio, si può attingere ad un’energia interiore che permette di sviluppare poteri sovrumani. Se da un lato risolve le varie assurdità su cui le controparti videoludiche non si sono mai soffermate (come monaci che sparano fuoco dalla mani o si teletrasportano), dall’altro limita di molto il modo in cui si svolgono le vicende aggiungendo un’ulteriore (ed inutile) complicazione.

Dal punto di vista registico, il film risulta un lavoro mediocre, dovuto forse anche al fatto che questo sia un esordio alla regia per primo Simon McQuoid. Le vicende risultano abbastanza chiare, senza però particolari picchi espressivi e con un paio di momenti più concitati durante le scene d’azione che risultano un po’ confusi.

D’altro canto gli effetti speciali e visivi sono ottimi. In primis il ghiaccio creato da Sub Zero è reso in maniera stupenda, come anche il fuoco di Scorpion, le braccia robotiche di Jax o il personaggio di Goro (finalmente possiamo dimenticarci il “pupazzone” presente nell’adattamento del ’95). Purtroppo qualche piccola incertezza c’è: un personaggio la cui testa è stata aggiunta in CGI in maniera poco rifinita o i movimenti del personaggio di Kabal, il quale vedendolo in azione sembra quasi interamente creato a computer, creando un effetto non sempre gradevole per gli occhi. Per fortuna si tratta perlopiù di piccolezze, legate inoltre a personaggi che presentano un minutaggio a schermo abbastanza ridotto.

CONCLUSIONI

Nonostante una regia abbastanza mediocre e diversi problemi sul lato della sceneggiatura, questa trasposizione di Mortal Kombat può tranquillamente essere definita uno dei migliori adattamenti di un videogioco al cinema. Soprattutto per i fan, il film è una gioia per gli occhi, con molti personaggi iconici curati e trasposti ai limiti della perfezione, nonostante qualche cambiamento per alcuni, ma soprattutto con un prodotto che risulta molto divertente e che riprende appieno l’anima splatter e violenta del videogioco. Tutt’altro che un capolavoro quindi, ma sicuramente uno di quei film di cui si fa felicemente un rewatch ogni volta che lo trasmettono in televisione.

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Mattia Bianconi, Redattore