Lo scorso 13 agosto è uscita, dopo una lunga attesa, la seconda stagione di Modern Love, serie televisiva antologica targata Prime Video, che si promette di indagare le varie sfaccettature dell’amore nel mondo contemporaneo, prendendo spunto dalle storie pubblicate sull’omonima rubrica del New York Times.

Vedere la prima stagione di Modern Love in pieno lockdown può aver contribuito ad evidenziare tutte le caratteristiche positive della serie: quell’accorpare scampoli di vita quotidiana, abbastanza originali da catturare l’attenzione per una caratteristica particolare, a volte un nucleo narrativo curioso e inusuale, o, ancora più spesso, per una maniera alternativa di raccontare una storia altrimenti uguale a tante altre, il tutto accomunato da una patinatissima estetica indie e da una malinconica leggerezza che in quel momento sapeva tanto di vita.

Il secondo atto di questa serie antologica risulta invece parzialmente deludente.  L’idea di base vorrebbe rimanere la stessa, ma si scontra con una mancanza cronica di storie un minimo originali o di idee forti su come raccontarle. Se il primo e l’ottavo (ed ultimo) episodio della stagione si salvano puntando sul sentimentalismo e sul dramma, e le lacrime scorrono copiose, la maggior parte degli altri episodi sono più che altro inconsistenti. Il secondo episodio, La Ragazza Notturna incontra un Ragazzo Diurno, va avanti per trentacinque minuti senza che al suo interno succeda praticamente niente, mentre i due episodi dedicati all’amore adolescenziale e giovanile sono banali e simili a tanti altri teen drama, ma privi di qualsiasi tensione, sviluppo o possibilità di attaccamento nei confronti dei personaggi, vista la durata limitata. Il terzo episodio, Estranei su un treno (Per Dublino), vede protagonista le fasi iniziali della pandemia da coronavirus, che mette i bastoni fra le ruote ad un amore sbocciato durante un breve viaggio in treno, quasi fossero altri tempi; è divertente e ben scritto ma il finale talmente aperto da non essere un finale lascia l’amaro in bocca. Una parziale eccezione è rappresentata dal settimo episodio, Come mi ricordi, breve ed efficace nel ripercorrere, nel tempo di un fugace incontro in strada, gli stadi iniziali di una frequentazione fra due ragazzi mai trasformatasi in relazione vera e propria, alternando in stile Rashomon il punto di vista dell’uno e dell’altro protagonista, in quello che è l’episodio che più riesce a ripercorrere il solco della prima stagione.

Altro elemento che rende questa seconda stagione più debole della prima è la mancanza dell’elemento unificante di New York come setting e sfondo di tutte le storie precedentemente raccontate, che nella città si intrecciavano, e che l’avevano resa l’ulteriore e onnipresente protagonista della serie, in una maniera che ricordava un po’ il ruolo assunto dalla stessa città nel classico delle commedie romantiche Harry ti presento Sally. La mancanza di questo filo conduttore toglie alla seconda stagione un ulteriore elemento caratteristico, rendendo i vari episodi una raccolta di mediometraggi privi di qualsiasi elemento che li unifichi fra loro.

Si cerca quindi di riprendere i fattori che avevano fatto il successo della prima stagione, ma la mancanza di alchimia generale fra di essi non fa scoccare quella scintilla che tanto ci aveva fatto emozionare, e lo spettatore raramente riesce ad accedere a quella strana evasione nella malinconia che probabilmente si aspettava di trovare.

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Giovanni Atzeni, Redattore