Sydney Sibilia, dopo L’incredibile storia dell’isola delle rose nel 2020, torna al cinema con una nuova pellicola ispirata a una storia vera, caratterizzata da tentativi di riscatto sociale e cavilli legali: quella delle cassette piratate con il marchio Mixed by Erry, che negli anni Ottanta e Novanta hanno invaso il mercato della musica italiana segnandolo profondamente. Dietro l’etichetta falsa, che all’apice del successo poté addirittura vantarsi di essere la prima casa discografica in Italia, si nascondeva l’attività di Enrico Frattasio (Luigi D’Oriano) con i fratelli Peppe (Giuseppe Arena) e Angelo (Emanuele Palumbo).
Mixed by Erry è un film nostalgico, nel quale i punti fermi della cultura pop di quegli anni non sono relegati a elementi di cornice, ma vengono tenuti spesso in primo piano, sia visivamente che in quanto parte integrante dello svolgersi della trama: dalle canzoni allo scudetto del Napoli, fino alla comparsa dei primi compact disc nelle vetrine e all’onnipresente Festival di Sanremo.
La sensazione di nostalgia e anche di leggerezza, quest’ultima sostenuta da un’ironia pacata ma comunque presente, si estendono alla vicenda principale: per quanto i fratelli Frattasio siano di fatto legati alla Camorra e abbiano causato grossi danni economici, non si ha mai l’impressione di trovarsi davanti a un film sulla malavita.
I protagonisti sono cresciuti a Forcella, quartiere popolare di Napoli, dove Enrico inizia a distribuire le cassette che copia innanzitutto per passione, e in secondo luogo perché per molti non è facile reperire la musica in altri modi. Lui stesso e la sua famiglia si trovano in difficoltà economica: sarà questo che lo spingerà a procurarsi – tramite canali discutibili ma, di nuovo, più facilmente accessibili di altri – il materiale per avviare una produzione su larga scala.
Erry non è mai raccontato come un disonesto e non possiede le caratteristiche dell’antieroe, tanto che del proverbiale lavoro sporco si occupa, soprattutto all’inizio, il fratello più giovane. Lui rimane, negli atteggiamenti e nel modo di prendere ogni decisione, il ragazzino che viene presentato all’inizio: quasi ingenuo nella sua ostinazione, completamente assorbito dalla musica e dal ruolo che ha scelto per sé all’interno della società: il dj. Trattandosi per di più di un dj diverso dagli altri, che non si trova a proprio agio nei locali notturni e sembra faticare persino a scegliere un nome d’arte (il nome stesso Mixed by è “piratato”, preso in prestito da un altro artista), suscita nello spettatore l’impressione di trovarsi di fronte un personaggio innocente, estraneo al mondo che si trova a dover affrontare per raggiungere uno scopo tutto sommato positivo: raccogliere brani e renderli accessibili a quante più persone possibile. Un altro elemento importante da questo punto di vista è la famiglia: la dinamica tra i fratelli funziona, si percepisce un legame stretto, e sono inoltre molto presenti sia genitori che le mogli dei protagonisti. Tutto questo contribuisce a costruire un’immagine positiva di Erry e suo fratello e un’atmosfera rassicurante e piacevole.
A questo ruolo di fuorilegge edulcorato si contrappone, tuttavia, quello di un difensore della legge da manuale: il finanziere, interpretato da Francesco Di Leva, viene rappresentato con un aspetto quasi fumettistico, con l’acconciatura da vero poliziotto della tv anni Settanta e degli scatti di rabbia caricaturali. Da un altro genere ancora sembra preso in prestito l’imprenditore, un sempre ottimo Fabrizio Gifuni, che mette in scena una riuscita satira della Milano arricchita e iper-produttiva di quegli anni. Si tratta indubbiamente del personaggio più ambiguo della pellicola, che oscilla su quel confine fra legale e illegale che per i fratelli è stato ancora meno di una linea sottile: un concetto inconsistente, volatile quanto l’idea di onestà presentata dal padre all’inizio della storia, quando viaggiavano su una macchina carica di tè versato in bottiglie di Jack Daniel’s.
L’effetto complessivo è quello di un genere ibrido, che cerca di tenere insieme tante influenze diverse e non riesce ad amalgamarle completamente, pur non impedendo alla narrazione di scorrere senza particolari intoppi.
Doveroso menzionare le musiche e l’uso del sonoro in generale, che non potevano che essere la colonna portante di questo film, capaci di rendere la visione molto coinvolgente. Sia i tormentoni storici sia le parti scritte ad hoc per il film (tema principale e title track sono del rapper napoletano Liberato) trasmettono la stessa energia, vivace ma vagamente malinconica, data dai colori e dalle immagini.
Dalla trilogia di Smetto quando voglio ad oggi la problematicità della legge, e nello specifico il rapporto fra questa e i fattori di disagio della popolazione che reagisce con iniziative sociali, si conferma essere il filo conduttore di tutta la filmografia di Sibilia. Nonostante il regista non si proponesse certo di giustificare un reato bensì di fotografare un pezzo di storia, portandone in scena tutte le caratteristiche e le contraddizioni, ci si trova inevitabilmente ad affezionarsi al protagonista, e a empatizzare con quelli che restano de facto gli eroi del racconto.
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