Arriva al cinema dopo 5 anni di attesa il nuovo capitolo della saga di Mission: Impossible, afflitto da non pochi problemi produttivi, tra cui le riprese durante il Covid, ma spinto dal successo dello scorso anno di un altro film con protagonista Tom Cruise: Top Gun: Maverick. La pellicola è la prima parte di un dittico diretto da Christopher McQuarrie, alla sua terza regia di un film del franchise.
Come già accaduto in alcuni capitoli della saga, il film si apre con la presentazione del villain del film che, con una tempistica a dir poco perfetta, risulta essere una potente Intelligenza Articiale, l’Entità, capace di portare su una nuova scala possibili conflitti mondiali, proprio nell’anno in cui sono stati rilasciati i primi programmi di Intelligenza Artificiale gratuiti al pubblico. Un’ AI, la cui forza risiede nella sua natura digitale, capace di plasmare le menti delle persone, bombardandole con input che giungono dai numerosi dispositivi che popolano la nostra realtà quotidiana, evidente riferimento agli algoritmi su cui sono costruiti i social e il web in generale che negli ultimi anni hanno creato delle bolle attorno ai singoli individui. Un’arma su cui tutte le potenze mondiali vogliono mettere le proprie mani per assicurare il proprio dominio nel mondo del futuro, devastato dai cambiamenti climatici. Attorno alla ricerca di una chiave capace di controllare questa Entità, il MacGuffin di turno per collegare scene action e cambi di location dal sapore decisamente vintage, viene costruito l’intero film. La scelta di un nemico digitale, porta la pellicola a essere un grande omaggio all’analogico, all’ennesimo spettacolare stunt di Tom Cruise e al ridotto utilizzo della CGI: un omaggio al cinema in quanto prodotto artigianale realizzato da persone che amano profondamente la settima arte.
Se da un lato la sceneggiatura segue il pilota automatico senza particolari guizzi, dall’altro Cruise e McQuarrie assicurano l’ennesimo ottimo film della saga, grazie a sequenze d’azione di alto livello e grandi interpretazioni e caratterizzazioni dei personaggi.
Questi ultimi risultano essere la principale forza del film, anche grazie ai nuovi arrivati. Il personaggio di Hayley Atwell interpreta a tutti gli effetti la co-protagonista del film, con numerose sequenze action in cui ruba addirittura la scena a Tom Cruise, come se quest’ultimo volesse farsi leggermente da parte. Personaggio intraprendente eppure pieno di difetti, interpretato da una brava attrice che – dopo la carriera all’interno dell’MCU – dimostra di essere a suo agio nel mondo dell’action. Dalla parte dei villain troviamo invece Esai Morales a interpretare la pedina umana dell’Entità, con una caratterizzazione al minimo sindacale in attesa di futuri approfondimenti. Ma la vera punta di diamante tra i nuovi innesti è indubbiamente Pom Klementieff che interpreta un personaggio spietato e macchiettistico, pienamente in linea con lo spirito della pellicola, ma che allo stesso tempo risulta essere sperimentale: la sua caratterizzazione è basata esclusivamente sulla sua espressività e su pochissime linee di dialogo, un personaggio da film muto, indubbiamente inusuale in un blockbuster hollywoodiano.
Se da un lato i nuovi arrivi sono funzionali alla pellicola, dall’altra non tutti i comprimari dei film precedenti trovano il giusto spazio. In particolare l’Ilsa di Rebecca Ferguson viene limitata da un ridotto minutaggio e con un arco evolutivo meno impattante sulla trama rispetto alle probabili intenzioni del regista, a causa di alcune scene action realizzate in maniera anticlimatica con lei protagonista. Oltre a Ving Rhames, Simon Pegg e Vanessa Kirby, viene ripescato dal primo film della saga anche Henry Czerny, che interpreta il direttore della CIA Eugene Kittridge, che per questo film assume parzialmente il ruolo di comic relief.
E infine il grande protagonista della pellicola, Tom Cruise, che dà una svolta al personaggio di Ethan Hunt. Oltre a lasciare maggiore spazio ai comprimari, Ethan in questo film, forse per la prima volta, fallisce veramente e viene sconfitto durante il film. Nella famosa scena del salto nel vuoto con la moto già mostrata nei trailer, Ethan esita, la ritiene un’azione assurda: la stessa persona che si era attaccata ad un aereo in decollo nei capitoli precedenti. Per la prima volta è disposto a farsi da parte e lasciare più responsabilità agli altri in quanto non più in grado di sostenere tutto il peso da solo.
Mai come in questo film non è possibile fidarsi dei propri amici, ognuno dei quali possiede due facce, aspetto sottolineato dai primi piani sugli attori che all’interno dello stesso dialogo sono posizionati alternativamente in due diverse metà dello schermo a seconda della linea di dialogo.
Se da un lato viene data importanza al lato epico tipico del finale di una saga, dall’altra mai come in questo film si utilizza l’ironia per alleggerire il tono: da un lato ci si prende gioco in primis dell’IMF stessa e dell’assurdità della sua struttura, dall’altro Ethan Hunt sembra più impacciato e goffo del solito. Neanche la grandeur americana e la brama di dominio degli Stati Uniti sono esenti da critiche in questo film, fattore non così comune da trovare in altri blockbuster.
Rispetto a Mission: Impossible – Fallout, il film soffre sicuramente di un’eccessiva lunghezza e di un ritmo più compassato, oltre ad una certa mancanza di fluidità nella prima parte, dovuta in particolare a un pesante didascalismo nei dialoghi.
Tuttavia grandi sequenze action, ottimi personaggi e alcune scene costruite con una tensione hitchcockiana, mettono in ombra i classici cliché del genere e gli altri difetti e fanno di Dead Reckoning un ottimo capitolo della saga, in attesa della conclusione in arrivo il prossimo anno.
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