Vi è mai capitato di chiedervi cosa potesse provare Lara Croft durante le sue avventure? Pensateci bene: è un’avventuriera senza paura, dotata di una forza straordinaria, ma è praticamente impossibile non farla morire. Basta spingere il tasto sbagliato e possiamo farle mancare un appiglio, farla cadere in un crepaccio o darla in pasto ai coccodrilli. Tanto non cambia niente, Lara Croft torna sempre in vita e si può ricominciare a giocare. Ma cosa succederebbe se Lara non fosse solo il personaggio di un videogioco, se fosse una persona come noi e avesse comunque la possibilità di morire tutte le volte che vuole? Non sarebbe una cosa pazzesca e insieme una fantastica opportunità?

Mickey… deve morire

È il 2054 e l’umanità sembra essere pronta ad affrontare una delle sfide più grandi, la colonizzazione di altri pianeti. Ormai la Terra è troppo popolata, svuotata di possibilità, così tantissime persone si ritrovano a voler scappare: tra loro anche il giovane Mickey Barnes (Robert Pattinson) e l’amico Timo (Steven Yeun), entrambi in fuga da uno strozzino senza scrupoli disposto letteralmente a cercarli in ogni anfratto del globo terrestre. A questo punto, perché non provare a rifugiarsi nello spazio? Sotto la guida di Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), un politico fallito estremamente somigliante a chi oggi tiene in pugno uno dei Paesi più rilevanti nel mondo, parte così la prima spedizione umana alla conquista del pianeta ghiacciato di Niflheim. Sulla navicella che dovrà viaggiare ben quattro anni prima di raggiungere la meta, il nostro protagonista ha un ruolo molto importante, quello di “essere umano sacrificabile”. In sostanza, Mickey è come una cavia da laboratorio, perfetto per essere sottoposto agli esperimenti degli scienziati a bordo o per testare con i propri polmoni l’atmosfera sconosciuta di Niflheim, anche a costo della sua stessa vita. Sì, perché grazie a una straordinaria tecnologia il corpo di Mickey può essere stampato e ristampato tutte le volte che si vuole, e vi si possono anche impiantare ogni volta i suoi ricordi, conservati all’interno di un’unità di memoria. Mickey è la nostra Lara Croft, a cui possiamo far fare tutto ciò che vogliamo, perché sappiamo che tornerà in vita e sarà tutto come prima. E anche lui ne è perfettamente consapevole, tanto che in breve tempo si abitua all’idea di morire praticamente ogni giorno, che sia per mano di scienziati più o meno squilibrati o a causa dello spietato mondo extraterrestre.

Dopo quattro lunghi anni la navicella raggiunge Niflheim, un piccolo pianeta sferzato da una violenta tempesta di neve, sul quale abitano strane creature a metà tra acari e pangolini. Con l’aiuto di Mickey, ora alla sua 17esima ristampa, la spedizione per conquistare questo “nuovo mondo” sembra andare per il meglio; tuttavia, a causa di un avvenimento per nulla previsto, verrà stampato un Mickey 18 decisamente troppo presto.

Il ritorno di Bong Joon-ho nel regno della fantascienza

Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di conoscere Bong Joon-ho come regista fortemente impegnato a livello politico, anche quando si trattava di lavorare a generi cinematografici più o meno intrisi di fantastico: i suoi lavori precedenti Okja (2017) e Snowpiercer (2013) dimostrano alla perfezione quanto ogni forma d’arte possa essere schierata politicamente e di conseguenza riesca a far passare un certo tipo di messaggio. Per chi conosce la filmografia di Bong, Mickey 17 è esattamente ciò che ci si può aspettare: un’opera di fantascienza ironica, a suo modo divertente, ma anche in grado di sviluppare parallelismi e allegorie con la società contemporanea. Mickey è l’uomo comune, quello che per i potenti conta meno di zero, sacrificabile in un batter d’occhio perché tanto ce ne sono a migliaia come lui; è l’uomo di cui ci si può liberare senza troppi rimorsi se bisogna fare qualcosa “per il bene della scienza e del progresso”, giusto? E la stessa sorte hanno, loro malgrado, anche i compagni di cui Mickey si circonda a bordo della nave, inclusa l’agente speciale Nasha (Naomi Ackie) con cui avrà una relazione. Gli unici ad avere il coltello dalla parte del manico sono coloro che si trovano sul ponte di comando, che guidano la grande spedizione, il comandante Marshall e l’eccentrica moglie Ylfa (Toni Collette): lui dalle movenze e dai discorsi da conquistatore di ispirazione chiaramente mussoliniana (o genericamente dittatoriale, se preferite), lei sempre in scena con una manicure curatissima, non un capello fuori posto, ossessionata dal creare la salsa perfetta. Per avvicinare Mickey 17 a Snowpiercer, è chiaro fin da subito chi siano gli abitanti dei vagoni di coda e chi quelli dei vagoni di testa, anche su una navicella spaziale.

Al di là della presenza di una fortissima coscienza di classe, Mickey 17 spinge lo spettatore a riflettere sul tema sempre attuale del progresso scientifico a tutti i costi e delle conseguenze terrificanti che può avere sul genere umano. Nolan ce ne ha parlato in Oppenheimer, il suo ultimo lavoro sul creatore della bomba atomica, ma anche il buon Stanley Kubrick lo aveva suggerito più di sessant’anni fa nella celebre sequenza finale de Il Dottor Stranamore (1964). Bong non ci pensa due volte a mostrarci scene in cui Mickey viene volontariamente esposto a quantità massicce di radiazioni, usato come test per studiare gli effetti di un nuovo gas nervino, per assaggiare cibo coltivato in laboratorio, o ancora per respirare a pieni polmoni l’aria di Niflheim portatrice di un virus letale. Persino quel macchinario sembra essere stanco di continuare a stampare e ristampare il corpo di un povero ragazzo trattato come un vero e proprio manichino, il tutto in nome di un progresso scientifico e tecnologico che sembra essere alimentato solo dalla sete di potere più che di conoscenza. Certo, se Marie Curie non fosse stata una scienziata curiosa e intraprendente, non avremmo mai scoperto gli effetti del radio e le sue innumerevoli possibilità, ma allo stesso tempo quella povera donna non dev’essere stata molto contenta quando ha iniziato a perdere i capelli.

Un cast magnifico

Durante la visione del film è palese quanto Bong si sia divertito ad adattare il romanzo Mickey7 di Edward Ashton, e come chi vi ha lavorato si sia sentito perfettamente a proprio agio nei personaggi da interpretare. Primo tra tutti, ovviamente, Robert Pattinson, che dimostra ancora una volta di essere un attore capace e in grado di mettersi costantemente in gioco: il suo Mickey è un protagonista per cui si prova subito simpatia e ammirazione, ma anche inevitabilmente un po’ di tenerezza. Pattinson interpreta meravigliosamente due versioni molto diverse dello stesso personaggio, portando avanti un distinguo fatto di gesti, modo di parlare e linguaggio del corpo su cui deve aver lavorato davvero tanto. Abbiamo poi un Mark Ruffalo più forte che mai, perfettamente inserito nel ruolo del dittatore wannabe, insieme ridicolo e spietato, disposto a tutto pur di conquistare il nuovo pianeta e incidere con le fiamme il proprio nome sulle sue rocce nere. Accanto a lui, Toni Collette continua a ricordarci del suo talento, da Little Miss Sunshine (2006) a Hereditary (2018) a Mickey 17, interpretando la moglie di un condottiero solo all’apparenza più pacata e razionale del compagno. Forse solo un’attrice meravigliosa come Collette poteva concedere un certo tenore di gravità alla battuta “sembra un croissant immerso nella merda”.

Con Mickey 17, Bong Joon-ho si caratterizza ancora una volta come uno dei registi più promettenti nel panorama cinematografico contemporaneo: la storia che porta sul grande schermo è viva, divertente, ma contiene anche un messaggio in grado di trascendere spazio e tempo. Robert Pattinson si dimostra un attore incredibilmente capace, a suo agio anche in ruoli che oscillano tra il comico e il drammatico. Mickey 17 è un’opera di fantascienza intrisa di una profonda satira su quanto lontano le persone più ricche e più potenti della società siano disposte a spingersi nel sacrificare vite umane per soddisfare una bruciante sete di potere. O forse solo per trovare la salsa perfetta.

Renata Capanna,
Redattrice.