Arriva in sordina nelle sale italiane Memory di Martin Campbell, un prodotto a ben vedere liquidato dai più come il “classico film con Liam Neeson” e che, in un contesto di sempre maggiore diserzione delle sale cinematografiche, non rappresenta un’opzione appetibile per il grande pubblico, dunque destinato a vivere per una cerchia ristretta di appassionati, cresciuti a pane, testosterone e Steven Seagal e affezionati ai loro eroi mascolini, per ragioni anagrafiche sempre meno aderenti ai panni da loro vestiti per decenni.
Martin Campbell è un solido mestierante dagli alterni risultati, capace di dimostrare in passato una buona mano registica se posto in contesto produttivi stimolanti, al servizio di buone sceneggiature e con attori di buon livello. Il punto più alto e luminoso della sua carriera resta (e senza troppi dubbi resterà) Casino Royale (2006), primo film del ciclo della saga di James Bond con Daniel Craig, tra i migliori titoli dell’intero franchise pluridecennale sull’agente 007. Non basta però un solo film a smacchiare una carriera altalenante il cui punto più basso è rappresentato da uno dei cinecomic più disastrosi di sempre, Green Lantern (2011).
Si è fatto riferimento alla formula del “classico film con Liam Neeson”: attore che ha saputo dimostrare in passato il proprio valore in lavori diretti da registi del calibro di Steven Spielberg, Martin Scorsese o Christopher Nolan ma che, non si sa quanto volontariamente, appare sempre più confinato in un tipo di produzione che ha trovato il suo standard, un suo pubblico fedele e che non riesce quasi mai a sconfinare l’idea di un cinema prodotto in serie sulla base di canoni, stilemi ed espedienti perennemente immutati.
Il tipico film action-thriller con un protagonista solitario, posto al confine tra il bene e il male ma dotato di una spiccata moralità che lo porta a ricercare la giustizia agendo al di fuori della legge. Memory prova ad andare oltre questa definizione ma lo fa con poca convinzione, nel segno della svogliatezza e della rassegnazione ad uno standard produttivo che sembra impossibilitato a nobilitarsi o differenziarsi da sé stesso. Se i temi della senilità, della perdita della memoria e delle proprie radici sembrano suggerire quasi un carattere crepuscolare per quest’opera, legato al riconoscimento dell’età che avanza e del non potersi spingere troppo oltre – tanto per il protagonista quanto per lo stesso Liam Neeson – questa riflessione si perde nel marasma di una narrazione fin troppo generica e mai veramente incisiva.
Nonostante Memory sia un adattamento del romanzo De Zaak Alzheimer di Jef Geeraerts e un remake del film belga The Alzheimer Case (Erik Van Looy, 2003), la vera ispirazione per la realizzazione del film di Campbell sembra Memento (2000) di Christopher Nolan. Di Memento riprende pigramente degli espedienti narrativi e l’attore protagonista, Guy Pearce, ma ciò non basta a porre in un confronto alla pari le due opere. Se nel film di Nolan il tema dell’amnesia era un pretesto intelligente per varcare i limiti della narrazione, qua finisce per essere un semplice elemento tematico ininfluente ai fini della messa in scena ed incapace di andare veramente a fondo nella riflessione.
Ironia della sorte, un film che include il concetto della memoria nel proprio titolo è inevitabilmente destinato all’oblio del dimenticatoio. La sceneggiatura di Dario Scardapane ruba qua e là da un repertorio cinematografico medio e il risultato è inevitabilmente un’opera dimenticabile fatta di personaggi-sagome che pronunciano imbarazzanti battute ad effetto e frasi fatte da b-movie. Non importa che tali personaggi siano portati sullo schermo da interpreti del calibro dei già citati Liam Neeson o Guy Pearce, ai quali si potrebbe aggiungere Monica Bellucci: i loro volti più che veicoli di carisma sono uno strumento commerciale fallimentare.La regia di Martin Campbell riesce sporadicamente a restituire un barlume di tensione nelle scene più action e thriller che, per assurdo, sembrano fin troppo poche, in un film la cui narrazione slabbrata è eccessivamente pregna di dialoghi pedanti, didascalici e incapaci di tenere alta l’attenzione. Memory non riesce ad andare oltre dei consolidati e ripetitivi standard televisivi, anzi, sembra attingere consapevolmente da essi, forse nella speranza che questo fallimento in sala possa trovare una seconda vita sul piccolo schermo.
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