MaXXXine (2024), l’atteso terzo capitolo della saga horror di Ti West, iniziata con X – A Sexy Horror Story (2022) e proseguita con Pearl (2022), è finalmente approdato nelle sale italiane il 28 agosto.
La trilogia di X ha portato una grande ventata d’aria fresca al cinema horror e slasher, in anni in cui il genere ha visto l’ascesa di nuovi validissimi nomi, tra i quali la trinità Eggers-Peele-Aster, con una grande varietà e diversificazione nell’interpretare questo tipo di film. Un comune denominatore nell’opera di questi tre registi, portato alla sua massima espressione da Ti West, è quello di giocare con il cinema horror del passato, prendendolo come ispirazione per creare delle storie capaci di rielaborare dei temi o delle atmosfere, o diventando un vero punto di partenza per fare dell’ottimo citazionismo cinematografico, piena espressione d’amore per le opere di questo filone e grande motivo di piacere per i fan più sfegatati.
X – A Sexy Horror Story era, senza mezzi termini, un Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre – Tobe Hooper, 1974) che gravitava attorno al mondo delle produzioni pornografiche indipendenti; Pearl – l’unico dei tre capitoli che non ha calcato le sale in Italia, arrivando direttamente in streaming e in home video – era un film ben più complesso, che giocava con varie pellicole della storia del cinema horror e non, da Il mago di Oz (The Wizard of Oz – Victor Fleming, 1939) a Carrie – Lo sguardo di Satana (Brian de Palma – 1976), arrivando a Re per una notte (The King of Comedy – Martin Scorsese, 1983), nonché, ad avviso di chi scrive, il film più riuscito in una trilogia in cui si trovano solo film che vanno dalla buona all’ottima fattura.
“Non accetterò mai una vita che non merito”
Uno dei tanti leitmotiv di questa trilogia è legato alla scalata dello show business, alla ricerca del successo ad ogni costo, alla convinzione di essere una star, come urlava a squarciagola Pearl, e all’ossessione di diventarla. Se in Pearl questa ricerca porterà la protagonista a compiere dei gesti atroci, che nella timeline di questo universo cinematografico continueranno fino alla sua vecchiaia, la Maxine di X continuerà la sua scalata nel terzo film della trilogia, MaXXXine, in cui dovrà fare i conti con un serial killer misterioso e nel quale riuscirà a compiere il grande salto dal mondo della pornografia a Hollywood.
Con MaXXXine Ti West – che del film è regista, sceneggiatore, produttore e montatore – approda negli anni Ottanta, scelta resa evidente dalle musiche, dai costumi, dalle acconciature, dalle atmosfere e dalle camminate tipiche dei film dell’epoca, e si diverte a giocare con i thriller con serial killer anni Settanta e Ottanta, con evidenti richiami al cinema di Dario Argento e Brian de Palma, e con gli horror sanguinolenti con protagoniste delle sette diaboliche. L’ambientazione nel mondo della pornografia richiama evidentemente le atmosfere di Omicidio a luci rosse (Body Double – Brian de Palma, 1984), mentre il design del killer, con cappotto e guanti in pelle e un pugnale affilato riprende film come Profondo rosso (Dario Argento, 1975) o L’uccello dalle piume di cristallo (Dario Argento, 1970), arrivando ovviamente fino a Vestito per uccidere (Dressed to Kill – Brian de Palma, 1980) L’amore di Ti West per Brian de Palma è evidente anche nel momento in cui si parla di “urla passate nella storia del cinema”, con un evidente riferimento a quello che è il film più personale del regista di Newark, Blow Out (1981).
Di De Palma torna anche l’interesse per i vari media audiovisivi, con il cinema che cattura il cinema stesso, home movies, televisione e telegiornali, videocassette: insomma, schermi e dispositivi di ogni epoca e genere. Anche la regia, soprattutto nella prima metà del film, ricorda molto il canone depalmiano e hitchcockiano (da cui arrivano varie citazioni a Psycho [1960], tra cui la scena della doccia e alcune sequenze ambientato proprio sul set del Bates Motel): con lunghi movimenti di macchina carichi di stile, in cui segue dei personaggi per poi fermarsi su dettagli, realizzando una regia capace di raccontare, che arricchisce il film di significato e che non si ferma a un mero esercizio di bravura. C’è comunque da dire che mettendo a confronto la regia di questo film e quella dei capolavori sopracitati, il paragone risulta del tutto ingeneroso nei confronti del lavoro di Ti West e, in generale, anche il film, per quanto godibile, non è all’altezza delle altre due pellicole della trilogia, con un finale che non riesce a mantenere il buon livello della prima metà del racconto.
Gli anni Ottanta rivivono anche nella fotografia, con luci al neon sfavillanti che si fanno strada nell’oscura Los Angeles notturna colpita dai crimini del Night Stalker, che trasuda atmosfere tipicamente noir. Anche il montaggio, tra split screen e transizioni a tendina, ricalca lo stile delle pellicole dell’epoca, ma rimanendo in tema, il montaggio non riesce sempre a creare un ritmo all’altezza del racconto presentato. Ti West riesce a creare parecchie immagini memorabili e per nulla scontate, momenti di violenza inaudita, sia sotto il punto di vista fisico che psicologico, condendo il tutto con del women empowerment espresso dalla forza della protagonista, anche qua interpretata da Mia Goth, che riesce a farsi valere in un mondo tipicamente maschile e a ritorcere tutto il male che gli uomini provano a perpetrarle contro di loro.
Centrale è il personaggio della regista Elizabeth Bender, interpretato da Elizabeth Debicki, che vede il talento di Maxine nonostante Hollywood accetti malvolentieri le interpreti che provengono dall’industria del porno. Elizabeth è un po’ la versione femminile di Ti West, si evince il suo grande amore per il cinema horror e la voglia di validare un genere da molti considerato di serie b. Viene messa in scena anche una frangia della società statunitense, perbenista, benpensante e puritana, che con le sue proteste prova a censurare il cinema horror, espressione scabrosa del demonio, genere pericoloso per un’America fondata sui valori cristiani della famiglia, ma che con grande ipocrisia non riconosce che ciò che combatte appartiene alla vita di tutti.

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