“Che cos’è Matrix? È controllo?”
Così il Morpheus di Laurence Fishburne cominciava la semplice ma complessa spiegazione a Neo (e a noi spettatori) su quello che era il mondo reale e cos’era invece finto, o meglio digitale, presentando le basi per uno dei film che avrebbe poi cambiato radicalmente l’industria cinematografica e che sarebbe divenuto un cult idolatrato da milioni di persone, cinefili e non.
Molti potrebbero subito obiettare con una precisazione: “questo vale però soltanto per il primo, perché i due sequel non sono capolavori. Sono bellini. Sono bruttini. Sono orribili. Sono da dimenticare.” Questo il parere di alcuni, non certo di tutti, riguardo ai due sequel Reloaded e Revolutions che, nonostante la onnipresenza del duo Wachowski, furono sì campioni di incassi, ma ricevettero pesanti critiche, sia dalla critica che dai fan. Come biasimarli, dopotutto non solo il secondo capitolo si concludeva con un finale dichiaratamente aperto che rimandava al capitolo successivo, ma soprattutto, laddove il capostipite trovava un utopico bilanciamento tra filosofia, fantascienza, azione e narrativa, il seguito si ritrovava estremamente sbilanciato sulla componente più esplosiva e d’intrattenimento, con un’esplosione filosofica finale da far venire il mal di testa anche ai migliori esperti del genere, mentre l’ultimo capitolo proponeva una narrazione quasi completamente incentrata sull’argomento fantascientifico della battaglia tra uomo e macchina, dimenticandosi quasi che il mondo virtuale di Matrix era al centro di tutto.
Molti rimasero quindi amareggiati, ma per molti altri nel 2003 si concludeva una storia in tre atti che era perfetta così com’era, nonostante i difetti. Ma si sa, quando le major cercano soldi e si mettono un’idea in testa nulla le può fermare. Lo sa bene anche Lana Wachowski che, preso il solitario timone del franchise creato assieme alla sorella, ha riesumato la saga dopo quasi vent’anni creando Matrix Resurrection, il “sequel che nessuno voleva” e che ci obbliga a tornare, volenti o nolenti, in quel mondo binario fatto di codici, di 1 e di 0, facendoci chiedere ancora una volta: “Che cos’è reale?”
UNA NUOVA MATRICE
Loop: […] In informatica, successione di operazioni che vengono eseguite ripetutamente dal calcolatore nello stesso ordine, ogni volta con modifiche degli operandi, finché non sia soddisfatta qualche condizione prefissata.
Perché di questo si parla. Matrix non è nient’altro che un loop, un’operazione che si ripete, giorno dopo giorno, creando un mondo fittizio ma reale, per incatenare e ingabbiare esseri umani per usarli come pile dalle macchine. Ma ogni tanto qualcosa cambia e vengono apportate delle modifiche, ce lo spiegava Smith nell’iconico dialogo/interrogatorio con Morpheus nel primo capitolo parlando della prima versione di Matrix, e ce lo raccontava (con termini tutt’altro che semplici) l’Architetto sul finale del secondo film, spiegando la figura dell’Eletto e il suo compito. E, inevitabilmente, dopo l’epico scontro finale e dopo il sacrificio di Neo, tutto il mondo cambia di nuovo, e il Matrix assieme ad esso. Oggi il mondo virtuale che conoscevamo è cambiato, sia dentro la storia sia al di fuori di essa.
Thomas Anderson (sempre con il volto di Keanu Reeves, ma ormai ancorato al look con barba folta e lunghi capelli) è tornato, o forse non se n’era mai andato ed è sempre stato uno sviluppatore di videogiochi che tra le sue creazioni ha niente di meno che il videogioco Matrix, composto da tre capitoli con protagonisti Neo, Trinity, Morpheus e con avversari gli iconici agenti e le malvagie macchine. Tutta finzione, che finisce per portare il suo creatore a confondere la sua creazione con ciò che invece è reale. Ma il gioco non regge e lo sa anche Lana Wachowski. Proporre questa soluzione narrativa può ingannare i personaggi interni al racconto, ma di sicuro non lo spettatore, abituato da anni a risvolti narrativi di questo tipo e cosciente (dopo la visione dei precedenti capitoli) che le macchine farebbero di tutto pur di tenere gli umani dentro Matrix. Ci si ritrova davanti a quello che potrebbe essere definito “Lana’s New Nightmare”, non tanto per l’incubo che dev’essere stato creare un prodotto che si sapeva avrebbe fatto storcere il naso a molti spettatori, ma più che altro per le similitudini con il New Nightmare targato Wes Craven del 1994, con cui il regista decostruiva il mito di Freddy Krueger con una trovata metacinematografica tra le più memorabili della storia del cinema. E così fa anche la regista di Matrix. Il primo atto di Resurrection mostra, infatti, gli sviluppatori dell’azienda di Anderson mentre si imbarcano nell’impresa di realizzare loro stessi Matrix 4, il sequel di cui non c’è bisogno ma che bisogna comunque realizzare. Si presenta quindi un ridicolo (nel modo giusto) brainstorming di questi personaggi, attraverso cui la regista decostruisce il mito della sua creazione, perché Matrix è “porno mentale”, è “filosofia che ti fa scoppiare il cervello e ti manda in tilt”, ma soprattutto è “rallenty e bullet time”. E risulta inutile tentare di fare i superiori o i critici studiati, perché non c’è nient’altro che verità in queste parole, verità che vengono sbattute in faccia allo spettatore e alle major e ciò viene fatto nel miglior modo possibile.
SYSTEM REBOOTING
Presentata la filosofia di fondo della pellicola, è la nuova squadra di intrepidi e ribelli guerrieri umani a prendere il controllo della narrazione, con Bugs (interpretata da una convincente Jessica Henwick) nei panni di una novella Trinity e un Morpheus che non è Morpheus (affidato non più al leggendario Fishburne ma con un eccentrico Yahya Abdul-Mateen II alle redini) che porta sullo schermo una versione che cerca di imitare l’originale senza riuscirci, risultando macchiettistico e caricaturale seppur in maniera intelligente. I due cercano di riportare Thomas al suo vero io, convincendolo di ciò che è veramente reale e scontrandosi con l’Analista di Thomas (interpretato magistralmente da Neil Patrick Harris), che cerca di mantenerlo ancorato a quel mondo, e con un Agente Smith rinnovato, il cui volto non è più quello di Hugo Weaving ma di un Jonathan Groff dagli “occhi eccessivamente azzurri”. Torna quindi quel Matrix fatto di kung fu, proiettili, corse sui muri e rallenty, una componente action che si dimostra qui come quella forse meno interessante del prodotto, sicuramente non terribile ma che non riesce comunque a raggiungere i fasti dei precedenti capitoli, come invece pareva lecito aspettarsi, con una regia interessante ma a tratti traballante e non chiarissima e coreografie abbastanza anonime.
Tornano anche alcuni personaggi già visti nelle pellicole precedenti, adattati alla nuova situazione e agli anni passati, con il nuovo leader della città libera degli umani che permette di inserire nella narrazione un interessante discorso sulla libertà, la guerra e il prezzo che si è disposti a pagare. Accattivante risulta anche la soluzione narrativa scelta per il personaggio di Niobe, interpretata da Jade Pinkett Smith e introdotto proprio in questo capitolo della saga, mentre lo stesso non si può dire purtroppo per l’iconico personaggio di Merovingio (Lambert Wilson), che viene qui riscritto con movenze e battute forse un po’ troppo caricaturali che finiscono per imbrattare l’ottima caratterizzazione del personaggio originale. Rimane infine poco spazio per gli altri membri della Mnemosyne (nave che fa qui le veci della Nabucodonosor): nonostante il minutaggio corposo, non si riesce infatti a trovare spazio per l’approfondimento di personaggi come Lexy e Berg (interpretati rispettivamente da Eréndira Ibarra e Brian J. Smith), molto simili agli Switch ed Epoc dell’originale ma che mancano dello stesso carisma delle controparti originali. Lo stesso si può dire anche per colui che controlla il codice ed estrae da Matrix, qui nella figura di un abbastanza anonimo Sequoia (Toby Onwemure).
CONCLUSIONI
In tutto questo rimane comunque nell’aria una domanda: c’era veramente bisogno di questo sequel? Una risposta certa non può darla nessuno, ma Lana Wachowski ha risposto spremendo ancora una volta la sua creazione per riproporla in maniera inaspettata. I volti che ritornano sono diversi e quelli che cambiano non sono semplici re-skin ma veri e propri cambi di registro. Matrix stessa ha delle nuove regole, così come il mondo degli umani e il mondo moderno, quello dello spettatore a cui il film si riferisce in più occasioni con un loop di rotture della quarta parete, auto-citazionismo e metacinematografia. In conclusione è tutto nelle mani dello spettatore: prendere la pillola blu e dimenticare questo quarto anarchico capitolo oppure prendere la pillola rossa, seguire il bianconiglio e assistere al ritorno, anzi alla risurrezione, del franchise con un volto rinnovato, seppur uscendo dalla sala con numerose domande su cos’è effettivamente Matrix e su cosa rappresenti. Ma in fin dei conti, forse, “la scelta è soltanto un’illusione”.
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