Marx può aspettare è il nuovo film di Marco Bellocchio, presentato al Festival di Cannes 2021, nella stessa occasione in cui al regista di Vincere e Il traditore è  stata assegnata la Palme d’honneur.

Col senno di poi sembra felicemente appropriata l’assegnazione di un tale riconoscimento alla carriera in concomitanza con l’uscita di questo documentario. Marx può aspettare segue un doppio binario: il ricordo del fratello Camillo, morto suicida nel 1968 a soli 28 anni, nelle parole dei fratelli e delle sorelle Bellocchio superstiti, ma anche l’opportunità per il regista piacentino di ripercorrere la propria carriera artistica, dalla vittoria del Nastro d’argento per I pugni in tasca (1965) a L’ora di religione (2002). È appropriato quindi che l’assegnazione della Palma d’oro onoraria avvenga assieme all’uscita di un film in cui Bellocchio mette così tanto in gioco sé stesso e le sue opere, alla luce di una tragedia personale.

Marx può aspettare è un film che nasce sotto il segno della morte: la famiglia Bellocchio affronta questa tragedia ormai remota nel tempo in occasione di un raduno nel 2016. Qui i fratelli -ma anche altri parenti di questa famiglia- si confrontano con le domande irrisolte e i sensi di colpa. Il ritratto di Camillo esclude qualsiasi tendenza all’agiografia, e del racconto di un malessere che ha portato a quel gesto estremo non c’è retorica né compiacimento: della tragedia personale di Camillo e del senso di colpa per non aver saputo riconoscere quel male si parla con partecipazione emotiva ma anche con lucidità, cercando di comprendere le ragioni di tutte le parti in causa e chiamando a testimoniare ricordi e punti di vista anche contrastanti tra loro. L’abilità di Marco Bellocchio sta infatti nel saper intrecciare il punto di vista della famiglia Bellocchio con quello di voci esterne: la sorella della fidanzata di Camillo, Giovanna Capra, il padre gesuita Virginio Fantuzzi (scomparso nel 2019) e lo psichiatra prof. Luigi Cancrini. Il colloquio con Giovanna Capra esprime la posizione più severa nei suoi confronti, mentre quello con padre Fantuzzi offre un punto di vista originale sulla filmografia dell’ateo Bellocchio, interpretata come un confessionale laico in cui riaffiorano il senso di colpa e i rimorsi in cerca di una redenzione.

La dimensione sociale tipica dei film di Bellocchio è sempre presente, ma ridimensionata in uno studio sulle dinamiche di una famiglia numerosa come quella dei Bellocchio. La depressione di Camillo viene indagata come sintomo di un malessere collettivo, che riguarda una famiglia “disastrata” in cui nessuno è realmente capace di comprendere a fondo i sentimenti l’uno degli altri. La stessa propensione politica che caratterizza il cinema di Marco Bellocchio viene vista inun’ottica inedita, come un ostacolo alla comprensione personale di un fratello poco interessato alla politica, che all’inquietudine politica di Marco rispose con “Marx può aspettare”.

L’ultimo documentario di Marco Bellocchio è un’opera riuscita sotto ogni aspetto: è una confessione onesta e mai autoindulgente, capace di risvegliare la coscienza e l’attenzione dello spettatore e di farlo con sobrietà, sottolineata dalla colonna sonora essenziale ed efficace di Ezio Bosso (scomparso nel maggio dello scorso anno). Offre poche certezze e molte domande, questa storia di un dramma privo di catarsi -il senso di colpa per il suicidio di Camillo alimentato con gli anni non si può risolvere certo con un film- ma non disperato: il regista e autore non si sente assolto ma almeno liberato.

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Valentino Feltrin, Redattore