Il nuovo documentario di Maria Erica Pacileo, presentato in anteprima al Lucca Film Festival, è un efficace ritratto del medico psichiatra e scrittore Mario Tobino.
Mario Tobino. Per le Antiche Mura ci porta alla scoperta di uno degli intellettuali più innovativi dell’Italia novecentesca. Nato a Viareggio nel 1910, figlio di un farmacista, ribelle sia negli studi che nelle compagnie non consone ad un giovane borghese, Tobino appare da subito una figura affascinante e difficilmente imbrigliabile. Dall’infanzia quasi randagia al collegio, dalla scelta di imbarcarsi su una nave mercantile all’università di medicina (preferita a lettere su consiglio del padre) fino ad arrivare alla resistenza. E poi la professione di psichiatra (che all’epoca non significava certo smettere di svolgere altri compiti da medico), il manicomio di Maggiano, il ruolo di primario nei reparti femminili e infine la letteratura. Tobino è ricordato soprattutto per la sua quadrilogia (che interessò anche Fellini) dedicata ai suoi “adorati matti”: Le libere donne di Magliano (1953), Per le antiche scale (1972), Gli ultimi giorni di Magliano (1982) e Il Manicomio di Pechino (1990), oltre che per il Premio Strega Il Clandestino (1962).
‘La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca. Qui si snodano i miei sentimenti. Qui sincero mi manifesto. Qui vedo albe, tramonti, e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini. E li amo. Qui attendo: gloria e morte. Di qui parto per le vacanze. Qui, fino a questo momento, sono ritornato. Ed il mio desiderio è di fare di ogni grano di questo territorio un tranquillo, ordinato, universale parlare’.
Da Le libere donne di Magliano
Il documentario, realizzato in collaborazione con la Fondazione Mario Tobino e presentato al Lucca Film Festival, ci presenta un ritratto completo del personaggio nei suoi nemmeno novanta minuti di durata, indagando sia la sua figura di psichiatra che quella di letterato. Vediamo la sua indole austera e a tratti eremitica, la sua insofferenza verso il fascismo e qualsiasi tipo di gabbia politica ma anche scientifica. Per tutta la sua vita rifiutò sempre la visione del manicomio come ghetto in cui rinchiudere chi è inadatto o non conforme a vivere in società e considerò gli psicofarmaci come “camicia di forza chimica”: per lui l’ospedale psichiatrico doveva quasi raggiungere una dimensione arcadica (negli ultimi anni di vita partecipò al progetto dell’ospedale-paese). Non fu mai d’accordo con le teorie di Basaglia e con la legge sulla chiusura dei manicomi, pur essendo tutt’altro che un conservatore. I suoi romanzi, pur influenzati da una cultura classica e retrograda nel senso più tipicamente italiano del termine, hanno contribuito a far conoscere al grande pubblico quelle figure di “matti” (Tobino non li chiamerà mai in nessun altro modo) che nascondono un’immensa umanità.
Il film ha il sapore del tipico documentario ecumenico e lirico, dove viene mostrata la figura oggetto della ricerca e parlano le persone a lui vicine (nel nostro caso i suoi nipoti, che lui ha letteralmente fatto nascere) e coloro che han dedicato a lui ricerche ed esperienze professionali (docenti universitari, dottorandi e figure editoriali). D’altra parte non vengono adottate particolari sperimentazioni o innovazioni del genere documentaristico, che tuttavia, oltre che a essere fuori luogo, non sono l’obiettivo principale dell’opera.
L’unica scelta che non risulta essere particolarmente convincente è lo stile televisivo con cui vengono realizzate delle rappresentazioni con voce fuori campo e attori a schermo di alcuni passi di Tobino. Questo elemento tuttavia non danneggia la consapevolezza di trovarci di fronte ad un documento significativo su una figura da non dimenticare.
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