Marcel!, presentato in anteprima al Festival di Cannes e uscito nelle nostre sale il primo giugno 2022, rappresenta il debutto alla regia dell’attrice Jasmine Trinca. Per il suo primo progetto, Trinca ha deciso di affidarsi ad un soggetto personale: la storia del rapporto con la propria madre (interpretata nel film da Alba Rohrwacher). La bambina protagonista (Maayane Conti), vive una difficile relazione con questa figura genitoriale, un’artista di strada che sembra essere molto più affezionata a Marcel, il cagnolino con cui svolge il proprio numero. Quando il cane scompare, la bambina vede un’occasione per riallacciare i rapporti con la madre.

RITRATTO DI UNA FAMIGLIA DISFUNZIONALE

In questa narrazione quasi totalmente priva di nomi, ogni personaggio è designato solo col proprio ruolo all’interno della gerarchia famigliare: oltre alla madre e alla figlia abbiamo i nonni (Giovanna Ralli e Umberto Orsini), la cugina (Valentina Cervi). Madre e nonni sono i poli tra i quali la protagonista vive e si muove, alla ricerca di un amore troppo spesso negatole. 

La nonna è ancora attaccata, in maniera quasi spasmodica, al ricordo del figlio, il padre della protagonista il cui ritratto giganteggia nella stanza della bambina, oltre che l’unico personaggio della famiglia di cui conosciamo, almeno in parte, il nome: M. (come Marcel?) Trinca.

La madre, interpretata alla perfezione da Rohrwacher che fa un uso molto esasperato della propria fisicità nelle sue esibizioni di performer (artista) di strada, è un personaggio svampito, alla ricerca di segni dal futuro, capace di amare solo attraverso dei tramiti. Per soddisfare il proprio desiderio di avvicinarsi a lei, dunque, la protagonista è costretta prima a “sostituirsi” al padre venuto a mancare, indossandone la camicia, e poi, in una scena umiliante, anche ad assumere le veci di Marcel.

Entrambe le donne, madre e nonna, sono ancora legate al trauma della perdita di M. e involontariamente questo ricade sulla protagonista. Se la premessa del film sembra essere eccessivamente stravagante e quasi fiabesca, col suo procedere ci viene svelata una realtà molto più umana del previsto.

 “ALL’ARTE SI DEVE LA VITA”

Un punto di comunione tra madre e figlia effettivamente c’è, ed è quello dell’arte. È attraverso di essa che il legame tra le due può essere risaldato, nel momento in cui la bambina decide di porsi sullo stesso livello della genitrice un po’ svampita e farsi parte del suo mondo.

Essendo l’arte un elemento tanto fondamentale nella storia, non mancano scene dedicate alle esibizioni, specialmente quelle della o con protagonista la madre. Questo personaggio è quello più caratterizzato secondo canoni fortemente poetici, anche quando non è sul palco: in una scena guarda in camera ricalcando la mimica degli attori dell’epoca muta (per ammissione della regista stessa il cinema muto è stata un’influenza, il cui lascito più evidente è la divisione del film in capitoli), durante la ricerca di Marcel si strugge con un’attitudine e in posizioni altamente drammatiche che ricordano i personaggi di un melodramma… L’arte, lungi dall’essere semplicemente un mestiere, è la lente attraverso cui la madre vede e vive la propria esistenza.

L’arte è, tuttavia, anche ciò che divide la famiglia dal resto del mondo: la protagonista non ha amici al di fuori di un coetaneo altrettanto derelitto, la cugina più ricca considera il duo di donne poco più che un’attrazione da baraccone. Così, il legame familiare resta l’unico possibile pur essendo già così compromesso, ponendo la protagonista in una posizione ancora più difficile.

INFLUENZE E ISPIRAZIONE

Per sua stessa ammissione, Trinca prende a piene mani dai suoi ricordi d’infanzia, mantenendo anche elementi di grottesco o di improbabile che fanno parte della sua visione distorta di bambina. Si creano così situazioni al limite del surreale, con immagini evocative e personaggi caricaturali (lo spasimante interpretato da Dario Cantarelli, due “imitatori” di Al Bano e Romina, una venditrice in TV interpretata da Paola Cortellesi…). Probabilmente sono proprio il grottesco, il fiabesco, l’esasperato gli elementi più riusciti ed interessanti del film, oltre che quelli su cui forse, per il futuro, Trinca dovrebbe puntare di più. La pellicola funziona molto meglio quando le sue immagini non cercano di essere ancorate alla realtà e ai fatti, e offre anche alcuni guizzi registici e di fotografia non scontati per un’esordiente dietro la macchina da presa (un’inquadratura in cui da giorno si fa notte).

La bravura di Rohrwacher e Ralli, deliziosa nella sua pur breve parte, non è sempre accompagnata da interpretazioni di uguale livello, specialmente da parte dei diversi attori bambini presenti. La scelta di far esprimere Maayane Conti più attraverso il proprio sguardo penetrante ed inquisitorio che attraverso le parole risulta azzeccata, e dimostra una capacità della regista di sfruttare i pregi dei propri attori. 

Marcel! dimostra una certa padronanza del mezzo e una buona poetica di partenza che vorremmo vedere espansa nel futuro. Forse, Trinca dovrebbe osare di più e virare maggiormente nel fantastico, visto che è nell’onirismo che il suo primo film brilla. Speriamo, visti i buoni risultati già raggiunti, che la regista si dedicherà ad altre opere. 

Questo articolo è stato scritto da:

Silvia Strambi, Redattrice