Nonostante il diminutivo del suo cognome campeggi sulla locandina e nel trailer del film, Mank non è soltanto una biografia dello sceneggiatore e critico teatrale Herman J. Mankiewicz (Gary Oldman). Il motivo si può trovare in una battuta pronunciata nel film dallo stesso Mankiewicz: “non è possibile ricostruire l’intera vita di un uomo in sole due ore di film”. Anche Mank, dunque, rinuncia a farlo, preferendo circoscrivere l’azione ad un periodo limitato, ma estremamente significativo, della vita dello sceneggiatore.

Questo spaccato della vita di Mankiewicz comincia con un incidente stradale che lo costringe a letto con una gamba rotta. Durante questo periodo di forzata immobilità lavora alla stesura di Quarto Potere, quello che diventerà il suo lavoro da sceneggiatore più famosa e che, secondo il saggio Raising Kane di Pauline Kael (da cui Mank è ispirato), è attribuibile soprattutto a Mankiewicz e non ad Orson Welles (regista e protagonista del film). La cornice della lavorazione della sceneggiatura è intervallata dal racconto del rapporto, che si tramuta in aperto conflitto, con il magnate dell’editoria William Randolf Hearst (Charles Dance) e la sua amante, l’attrice Marion Davies (la bravissima Amanda Seyfried, meritatamente candidata all’Oscar).

Mankiewicz viene ritratto con dovizia di particolari, e l’ottima interpretazione di Gary Oldman è fondamentale per tratteggiare un uomo arrogante, cinico ma anche malinconico, consapevole di essere un “buffone di corte” sulla via del tramonto. Anche per questo, dopo aver osservato e subito per anni i compromessi dell’industria cinematografica, si scopre deciso a voler vedere riconosciuta la paternità della propria opera nonostante il giovane Welles e la RKO, la casa di produzione di Quarto Potere, siano decisi ad impedirglielo. L’abituale perizia registica di David Fincher e la fotografia avvolgente di Erik Messerschmidt (vincitore dell’Oscar alla migliore fotografia per questo film) delineano un ambiente, quello dell’industria cinematografica, corrotto dai compromessi e dalla falsità. Mankiewicz, in questo senso, ci risulta quasi un estraneo sgradito a quel mondo di cui fa comunque parte e i cui fautori sono o potenti amorali e senza scrupoli come Hearst o ruffiani dispotici come il capo della MGM Louis B. Mayer.

La sua vittoria personale nei confronti di questi individui, Mankiewicz la ottiene grazie a Quarto Potere. Oltre a essere il motore della trama, la sceneggiatura di Citizen Kane – e, per estensione, l’intero processo creativo di uno scrittore – diventa l’altra grande protagonista del film. Essa viene ritratta come summa ed elaborazione di esperienze, di incidenti, della propria visione politica e dei rapporti con gli altri e il mondo circostante. Hearst è l’ovvio modello per il “cittadino Kane”; un litigio con l’irascibile e quasi infantile Orson Welles (Tom Burke) è l’ispirazione per la famosa scena in cui Charles Foster Kane mette a soqquadro la sua camera in uno scatto d’ira.

Anche le citazioni visive di Quarto Potere sono più che semplici easter eggs e strizzate d’occhio per intenditori cinefili. Il fresco vincitore del premio Oscar Erik Messerschmidt è, infatti, riuscito a ricreare, con incredibile dovizia di particolari, le stesse atmosfere presenti in Quarto Potere e che hanno reso, tra le altre cose, quel film rivoluzionario. Per fare ciò, oltre ad avere studiato nei minimi dettagli la fotografia di Gregg Toland [DoP di Quarto Potere], ha portato avanti una ricerca puntigliosa al fine di fornire allo spettatore un effetto simile a quello delle pellicole del tempo e per ricreare le stesse atmosfere in bianco e nero del film di Welles, utilizzando anche molte delle stesse focali utilizzate dallo stesso Toland.

Mank si gusta come un film classico: la sceneggiatura di Jack Fincher, scritta negli anni ’90 e poi rifinita da Eric Roth, è un “dietro le quinte” di Hollywood lento e costante, che segue l’ingombrante presenza di Mankiewicz. La regia chirurgica di David Fincher e la fotografia in bianco e nero di Messerschmidt, che ritraggono impietosamente i meccanismi dell’industria cinematografica, ci ricordano il potere incantatorio della Settima Arte, e rendono Mank un film forse ostico per gli altri, ma imprescindibile per il pubblico di cinefili cui si rivolge.

Il film è disponibile per la visione su Netflix e anche al cinema. Vi invitiamo a tornare in sala per sostenere gli esercenti e per godervi al meglio la fantastica fotografia di quest’opera.

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Valentino Feltrin, Redattore